NICOLA PALMA
Cronaca

La fedele degli Urlatori e lo status di rifugiata: "In Cina mi arrestano"

Il Tribunale ha riconosciuto il permesso a una donna fuggita nel 2016. Il racconto ai giudici: ci riunivamo a pregare con le finestre chiuse. Ho deciso di venire a Milano ai tempi di Expo, col visto era più facile

Il movimento religioso "Zhao Hui" è definito anche "Chiesa degli urlatori"

Il movimento religioso "Zhao Hui" è definito anche "Chiesa degli urlatori"

Milano – Gli incontri clandestini . Le soffiate dei vicini e i blitz della polizia per scovare i fedeli del movimento religioso "Zhao Hui", ribattezzato "Chiesa degli urlatori" dai detrattori. La scomparsa del marito e la decisione di scappare a Milano, sfruttando l’occasione Expo. La rocambolesca storia emerge da un recente decreto della Sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale civile, che nelle scorse settimane ha riconosciuto a una donna cinese, fuggita otto anni fa dal suo Paese, lo status di rifugiata in Italia sulla base di quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Per i giudici, il "no" al permesso speciale avrebbe messo in pericolo la signora: c’è il rischio, si legge nelle motivazioni, che, "in caso di rientro in Cina, possa essere sottoposta ad atti persecutori per motivi religiosi, da intendersi anche come espressione di opinioni politiche, da parte delle autorità statali".

L’iter legale parte il 20 giugno 2019, quando Mei (nome di fantasia), originaria della provincia di Jiangxi, si presenta davanti alla commissione territoriale per raccontare la sua vita. Riferisce di essersi avvicinata nel 2011, grazie a un compagno di studi, alla religione che crede nel ritorno sulla Terra di Gesù Cristo ai giorni nostri e nella sua incarnazione come Dio Onnipotente. Una religione che però le autorità della Repubblica popolare hanno inserito tra gli "insegnamenti eterodossi", ostili e pericolosi. Da qui le inevitabili precauzioni, quasi da setta segreta: "Ogni volta che c’era una riunione, controllavamo che nessuno ci guardasse e che nessuno ci potesse scoprire – alcune delle frasi pronunciate durante l’audizione –. Chiudevamo le finestre, sapevamo che le riunioni erano molto pericolose: il Governo cinese sorvegliava la zona intorno alle case. Coloro che erano disoccupati venivano impiegati dal Governo per controllare, perciò noi ci sentivamo davvero in pericolo". Gli accorgimenti non bastano a dribblare i controlli: un amico del marito di Mei viene arrestato e condannato a cinque anni di reclusione.

Così la coppia decide di portare via i libri dello "Zhao Hui" dalla loro abitazione e di trasferirsi altrove, ma la censura di Stato arriva pure lì: un giorno, l’uomo si reca in un altro villaggio per "fare evangelizzazione" e non torna più indietro. È in quel momento, nel 2015, che la donna, che ha già affidato i figli alla cognata, sceglie di espatriare: "Mi è venuto in mente che i compagni di fede spesso dicevano che all’estero c’è libertà religiosa e non arrestano i cristiani. Non volevo rimanere in quel posto ad aspettare di essere arrestata, dovevo cercare in qualche modo di scappare all’estero". Mei chiede aiuto a un cugino: "Mi ha detto che quell’anno in Italia c’era l’Expo ed era più facile avere il visto".

Il documento arriva all’inizio del 2016: l’11 gennaio, la signora parte per Milano. Al commissario che le chiede se abbia timore di tornare in Cina, lei risponde: "Ho paura di essere arrestata e di essere torturata: rischio di perdere la vita, perché sicuramente devo passare la dogana e potrebbero trovarmi già lì e arrestarmi. Da internet ho visto tante storie dei cristiani scappati all’estero, e in Cina stanno cercando i cristiani con tutta la forza". Parole che non bastano a convincere la commissione territoriale: il 16 luglio 2019, la domanda di protezione internazionale viene rigettata per "vaghezza e contraddittorietà" degli elementi descritti.

Ora , a cinque anni di distanza, ecco il ribaltone: il collegio presieduto da Guido Vannicelli ha ritenuto "attendibili e coerenti" le affermazioni della richiedente asilo – sostenuta dalla Comunità di Sant’Egidio nel percorso religioso intrapreso in Italia – sia "in relazione ai fatti accaduti durante il periodo di clandestinità per sfuggire alla polizia" sia sulle motivazioni che l’hanno spinta ad avvicinarsi alla fede. E ancora: le fonti consultate dai giudici non hanno lasciato dubbi sul fatto che in Cina "gli appartenenti a gruppi cristiani non registrati rischiano di essere picchiati, arrestati, imprigionati e di perdere il lavoro e il luogo di preghiera". Quindi, sì allo status di rifugiata.