Eni-Nigeria, il pg smonta l’accusa: chiacchiere

Il magistrato si rifiuta di coltivare il ricorso della Procura: nessuna prova. Assoluzione definitiva per Descalzi e gli altri imputati

di Andrea Gianni

Non prove ma "chiacchiere e opinioni generiche". Un "colonialismo della morale" da parte del pm perché, come "le potenze neocoloniali tracciavano i confini senza sapere cosa c’era sotto", ha "imposto" la propria linea. Le parole del sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina si sono trasformate in un duro atto d’accusa nei confronti di un altro magistrato, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale. E hanno messo una pietra tombale sul processo con al centro Eni e Shell e il caso della Nigeria, finito al centro anche dello scontro in Procura. Con la rinuncia ai motivi di appello, il sostituto pg (magistrato che rappresenta la pubblica accusa nei processi di secondo grado) ha reso definitive le assoluzioni di primo grado di tutti i 15 imputati, tra cui l’ad Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni. Ha parlato per circa mezz’ora, il sostituto procuratore generale Gravina, quanto è bastato per polverizzare, davanti alla seconda Corte d’Appello, anni di accuse e per chiudere il procedimento sotto penale lasciandolo aperto solo per questioni civili.

Con una mossa, finora quasi mai vista in un’aula di giustizia, ha ritenuto di dover “bocciare“ l’atto di impugnazione firmato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale con la richiesta di ribaltare la sentenza con cui l’anno scorso il Tribunale aveva scagionato i 15 imputati, società comprese, ai quali era stata contestata la corruzione internazionale. E nel proporre ai giudici la "declaratoria di passaggio in giudicato" del verdetto, ha affermato che "questo processo deve finire perché non ha fondamento", aggiungendo che chi "per 7 anni è stato sotto procedimento, ha il diritto di vedere cessare questa situazione che è contra legem rispetto all’economia processuale e alle regole del giusto processo". Nel suo intervento il pg ha sottolineato non solo come l’atto scritto e firmato dal pubblico ministero sia "fuori dai binari della legalità", oltreché incongruo e insufficiente, ma anche come abbia pesato sulla sua scelta la sentenza assolutoria passata in giudicato nei confronti di Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, i presunti intermediari della ipotizzata ma non provata maxi tangente. "Il pm continua a sostenere le sue posizioni come se nulla fosse accaduto - ha proseguito -. Come se non ci fosse un’assoluzione definitiva. Questa è una violazione delle regole di giudizio".

Il pg Gravina ha poi fatto alcune severe osservazioni. Accanto a citazioni di giurisprudenza e di storia, il magistrato non ha esitato a dare spazio ad alcune bacchettate: dalle "vicende buttate lì come una insinuazione" alla "esilità e assoluta insignificanza degli elementi" portati dalla Procura per sostenere l’accusa. Il pm "ha una idea vaga - ha proseguito - e per questo ha chiesto la confisca" di oltre 1 miliardo di dollari, ossia l’importo complessivo versato dalle due società per acquisire i diritti di esplorazione sul giacimento petrolifero Opl245. E ciò perché "non riesce ad individuare" le presunte tangenti e "ripara sul fatto che questa operazione non doveva farsi". Una requisitoria che, secondo l’avvocato Paola Severino, legale di Descalzi, ha "frantumato completamente l’accusa". L’avvocato Lucio Lucia, legale della Repubblica Federale della Nigeria, ha chiesto di valutare i danni in separata sede e una provvisionale pari alla somma versata per i diritti di esplorazione del giacimento. Operazione finito al centro di un intricata vicenda giudiziaria arrivata alla parola fine, almeno in sede penale.

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