
Gian Valerio Lombardi, ex prefetto, oggi alla guida dell’Aler
Milano, 3 ottobre 2015 – I fogli e le cartellette, sulla sua scrivania, non recano più l’intestazione del Ministero degli Interni. Altre questioni, da un po’, assorbono il lavoro dell’ex prefetto Gian Valerio Lombardi. Ma i problemi della sicurezza in città sembra abbiano voluto inseguirlo da corso Monforte all’ufficio cinque piani più in alto delle auto che sfrecciano su viale Romagna. Case occupate, sfratti difficili, tensioni da periferia urbana sono la sua nuova trincea. Che Lombardi, a sentirlo parlare, sembra riuscire ad affrontare con la sua consueta pacatezza e con la saggia prudenza di certi uomini del Sud. I panni del prefetto, però, a volte prendono il sopravvento su quelli di presidente dell’Aler. L’ente, cioè, che sovrintende all’amministrazione delle case popolari. «Impossibile, anche da semplice osservatore, non cogliere quali siano oggi i problemi di Milano - dice - E la mancanza di sicurezza è certamente tra i principali».
Deformazione professionale?
«No. Perché è una sensazione condivisa con molti. Milano è sempre stata una città ordinata, tranquilla, considerate le sue dimensioni. Negli ultimi tempi, però, la gente percepisce un abbassamento dei livelli di sicurezza. Questo anche a causa dell’incrocio di dinamiche sociali. Per esempio il fenomeno dei migranti, l’aumento della povertà e del disagio sociale, la crisi del lavoro legata ai lunghi anni di recessione. La sicurezza percepita è la sommatoria di tanti fattori, anche personali. Ed è un tema prioritario per chi governa le città».
Un messaggio a chi dovrà candidarsi alle amministrative di primavera?
«Chi dovrà governare Milano nel prossimo futuro non potrà prescindere dall’affrontare questo problema. E le dico di pù».
Prego.
«Il sindaco che sarà eletto dovrà rispondere a questa istanza. E dovrà farlo in due vesti diverse. Cioè come corresponsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico in città. E poi come persona capace di incidere su fenomeni sociali che, se trascurati, possono alimentare la percezione di insicurezza tra i cittadini».
Anche lei è tentato dalla figura del sindaco-sceriffo?
«Affatto. Ma il sindaco che arriverà dovrà combattere l’emarginazione e aiutare chi non ce la fa. Quindi dare un sostegno sociale ed economico a chi non si può permettere un’abitazione, combattere il degrado urbano, accogliere in maniera intelligente i migranti. E poi investire nelle infrastrutture che fanno sentire più sicuri i cittadini. Per esempio le telecamere».
Accennava al problema casa. Non pensa che l’Aler dovrebbe fare la sua parte?
«La farà. I meno abbienti, da noi, sono tenuti a pagare 20 euro al mese di canone. Eppure 84 persone su cento non ce la fanno. Bisogna che i Comuni intervengano».
Sempre che abbiano i soldi...
«La legge regionale impone ai Comuni di adottare un meccanismo a favore delle fasce deboli che però, fatta eccezione per Rozzano, non è mai stato attivato. La conseguenza sono 80 milioni all’anno di mancato introito per l’Aler. E quindi il rosso dei nostri conti».
Insomma, tutta colpa dei Comuni.
«Se le amministrazioni pagassero la loro quota avremmo 20 milioni di introiti all’anno. E se l’Aler fosse sgravata dal pagamento delle tasse sugli immobili che svolgono una funzione sociale potremmo avere un equilibrio di bilancio».
Come dire che l’Aler non è come le ferrovie: si può risanare.
«A condizione che il welfare venga sostenuto da tutti gli organismi competenti, a cominciare dai Comuni».
Quante sono le case vuote?
«A Milano e provincia circa 2.000. Tutti alloggi che, grazie ai 60 milioni di euro elargiti dalla Regione, potremo ora ristrutturare e assegnare».
Sintetizzando, lei auspica un cambio di marcia su questo fronte a partire dalle prossime elezioni.
«Non solo. Dovendo tracciare l’identikit del prossimo sindaco, mi auguro che sia una persona capace di gestire il rilancio economico della città, di aiutare le imprese a creare lavoro combattendo l’eccesso di burocrazia. Poi di impostare una nuova politica dell’accoglienza, di dare ai profughi la prospettiva di un lavoro e di un inserimento futuro nella società».
Lei da dove partirebbe?
«Il regolamento di Dublino va cambiato. Va data ai profughi la possibilità di un impiego immediato. Magari nei lavori socialmente utili».