
di Giulia Bonezzi
Una flebo “intelligente”, che apre prospettive inedite per una gestione migliore e più sicura dei pazienti in ospedali sempre a corto di personale, ma anche delle terapie domiciliari che il Pnrr vuol potenziare fino a raggiungere il 10% degli anziani in Italia. È un prototipo, ma già instradato in un percorso che può portarlo alla certificazione e alla produzione dato che nasce da due anni di lavoro in rete dei ricercatori dell’università di Pavia, dei medici del Policlinico San Matteo e di alcune aziende del settore, come prevede il bando “Call Hub ricerca e innovazione” della Regione che ha finanziato questo progetto da 7,7 milioni con 3,3 milioni di euro, spiega l’assessore alla Ricerca Fabrizio Sala. Ed è, aggiunge il presidente del San Matteo Alessandro Venturi, "una dimostrazione della magìa che si può fare mettendo insieme, grazie a una piattaforma che funziona, ingredienti complessi che di solito in Italia non si parlano; in questo caso aziende specializzate, le ricerche decennali sulla fluidodinamica del professor Ferdinando Auricchio alla facoltà d’Ingegneria e l’esperienza clinica del nostro ospedale".
Il dispositivo Digital Smart Fluidics (DSF), spiega Andrea Pietrabissa, primario della Chirurgia 2 del San Matteo, "a differenza degli altri sistemi d’infusione è progettato dal punto di vista non dei medici, ma del paziente". Per colmare, continua Diego Andreis, managing director di Fluid-o-Tech, la capofila del progetto che ha coinvolto anche MC2, Sidam e Prima Lab, un vuoto tra la flebo meccanica e "macchine estremamente complesse, precise e affidabili ma costose", che si trovano solo in alcuni reparti come le terapie intensive. S’è trattato, di fatto, di "digitalizzare" la vecchia flebo (fonte d’ansia per il paziente in ospedale, i suoi familiari e anche per chi lo cura a casa, ricorda Pietrabissa) con un sistema a scanso d’errore umano, che permette d’impostare dosaggi, volume e velocità, modificarli e monitorarli durante l’infusione e dopo da remoto, attraverso un deflussore che si adatta quando il paziente è in movimento ed elimina il rischio di bolle d’aria. "Si può configurare da lontano - sottolinea la ricercatrice Erika Negrello - ma si attiva avvicinando un dispositivo come smartphone o tablet", grazie a un’app che permette di seguire alcuni parametri al paziente e al caregiver, mentre il settaggio e le notifiche, in caso di problemi, rimangono ai sanitari, consentendo loro di controllare meglio i pazienti ricoverati, o anche in assistenza domiciliare.
Lo sviluppo più interessante per le cure a casa riguarda però la nutrizione artificiale: il dispositivo, ad alta autonomia, può diventare portatile consentendo di muoversi e anche uscire durante queste lunghe terapie; un prototipo con questa funzione, e altri che adattano la “flebo digitale“ all’uso in rianimazione e in chemioterapia, saranno messi a punto entro giugno. Il progetto prevede anche la messa in rete dei laboratori in un centro specializzato nella fluidica digitale per sviluppare altre soluzioni d’ingegneria applicata alle scienze della vita.