SIMONA BALLATORE
Cronaca

Milano, viaggio tra i marmisti del Duomo dove la replica è un'arte

Allo studio la possibilità di dare in affido ai benefattori i pezzi dismessi

I marmisti della Veneranda Fabbrica del Duomo (Newpress)

Milano, 27 aprile 2018 - Ogni dettaglio viene restaurato o duplicato a regola d’arte, perché qui, anche laddove l’occhio dell’uomo non arriva, c’è sempre Dio che vede. «E che provvede», ricorda la Veneranda Fabbrica del Duomo quando alle sue porte bussa un benefattore, grande o piccolo, che ridà linfa a quel cantiere infinito che richiede circa 30 milioni di euro all’anno. Il contributo pubblico - destinato ai lavori straordinari - copre il 20% delle spese, la Fabbrica si fa carico del restante 80%, cercando alleati. Con «Adotta una guglia» dal 2012 a oggi sono stati raccolti 7 milioni di euro, fra cui 700mila euro da «piccoli donatori» che versano da un euro in su. Ci sono i milanesi, in prima linea, e c’è anche chi - tramite la rete - oggi pensa al Duomo dall’estero. Molti, quando il pezzo non è più riparabile, stanno chiedendo di poter prendersene cura. Un’opzione che sta studiando l’attuale presidente della Veneranda Fabbrica, Fedele Confalonieri: alcune parti in disuso potrebbero essere date in comodato d’uso a istituzioni, imprese, custodi di un pezzo di Cattedrale. Ma si valuterà la fattibilità del progetto. L’obiettivo finale è uno: valorizzare ogni singolo pezzo e continuare a sostenere il cantiere infinito di Milano.

Via Brunetti, civico 5: è la prima tappa meneghina del marmo di Candoglia prima di approdare in piazza Duomo. Ogni anno dai 100 ai 300 metri cubi di marmo vengono estratti dei quali circa un terzo prende forma qui, lavorati da 19 marmisti fra ornatisti, quadratori e fresatori. E qui si chiude il viaggio per quei frammenti e quelle statue che non possono essere più riparate e che vengono «copiate» di fino. Per una «piramidina» alta un metro serve almeno un mese di tempo, per i lavori più impegnativi si sfiorano i sei anni. «Si fa il possibile per salvare tutto col restauro, la sostituzione è l’extrema ratio per tutelare le geometrie del Duomo – ricorda Francesco Canali, direttore dei cantieri della Veneranda - gli interventi sono continuativi, abbiamo sempre 5 o 6 cantieri aperti in contemporanea. Adesso si sta “scendendo” rispetto alla guglia maggiore sistemando il tiburio mentre si lavora sul gugliotto dell’Amedeo, sul capocroce nord, all’angolo fra il transetto nord e l’abside e agli archi rampanti 19 e 20».

In via Brunetti si taglia, si disegna, si lavora di fresa e scalpello. È un lavoro di passione e pazienza, perché il marmo non perdona. C’è chi si è formato in accademia e chi ha imparato il lavoro sul campo. Antonio Cagnina lavora al marmisti da 30 anni, suo padre era scalpellino. Enrico Ceriani da 28: «Ero metalmeccanico, ho imparato il lavoro qui. Mi occupo del taglio e della sagomatura, la sostanza è rimasta, le macchine danno un aiuto in più». Dal 1985 c’è Emanuele Lisi, che aveva imparato il mestiere a Bitonto, in Puglia, per poi tornare a Milano e applicarlo al marmo di Candoglia. È stato il suo primo vero lavoro. Non lo ha mai lasciato. «Quando ero giovane sentivo l’arte traspirare dal marmo, con la tecnologia rischiamo di distrarci, spero che chi porterà avanti questo magnifico lavoro dopo di noi conservi la stessa energia», racconta. «Sappiamo che ci sarà lavoro almeno per i prossimi 200 anni – spiega Gino Giacomelli, capocantiere Marmisti – cambia la tecnologia ma la tecnica artigianale no. Adesso gli scalpelli hanno punte diamantate, gli strumenti migliorano, aumenta la qualità del marmo estratto. Ma la vera scuola è qui, perché il marmo di Candoglia ha le sue particolarità». Tanto solido e splendente quanto fragile. E da difendere.