
La droga trovata nei doppi fondi dei bagagli (Newpress)
Milano, 24 novembre 2016 - «Senti, allora domani ti porto 50 lattine?». «Sì, ma non le fai al Mogra». «Sì, anche... io ti faccio uno stock». «A me va bene, io solo posso pagare quello che ti ho detto...». Una conversazione apparentemente senza senso. Non per gli agenti dell’Antidroga, che hanno decriptata così: «50 lattine» sta per 50 grammi di cocaina e «Mogra» altro non è che l’anagramma (quasi) della parola «Grammo». Jhon Ross Campos Meza detto il «Nero», considerato dalla Mobile il capo dell’organizzazione criminale che movimentava ingenti quantitativi di stupefacente dal Perù all’Italia, era attentissimo quando parlava al telefono con i suoi sodali (in questo caso Fabian Vargas Lopez alias «il Colombiano»). Base in via Imbonati, a casa della mamma, il «Nero» classe ’83 era un pezzo grosso. Così sicuro di sé da potersi permettere di rientrare nel Paese di origine «probabilmente per svolgete un’importazione per conto suo». Siamo all’inizio del 2014, e di Campos Meza parlano (intercettati) Liliana Ruth Flores Mora (pure lei arrestata dalla Mobile) e tale «Julio», il referente della coppia in Sudamerica: «Senti ma tu sai qualcosa: ho sentito che il Nero verrà qui (in Perù, ndr)», chiede Julio. «Non ne so niente, cosa ne pensa il Vecchio?», incalza Ruth facendo riferimento a Martin, il fratello maggiore di Julio. «Non ne vuole sapere niente», la replica.
La crisi dello spacciatore. Nel febbraio del 2014, succede qualcosa tra Ruth Flores Mora e il socio Roberto Flores, i due incaricati di ricevere la droga dai corrieri in arrivo dal Perù e di smerciarla a Milano tramite i pusher: Flores non sopporta una terza donna, Rocio Garica Mieles, e sceglie di andare avanti per la sua strada, comunicando la decisione oltre Oceano. Ruth non ci sta, e la mattina del 10 febbraio manda un sms a Roberto: «Potevi essere più uomo e dirmi che già non lavoriamo più insieme». A quel punto, interviene Julio, che fa da paciere tra i due. Sembra tutto risolto, ma la sera del 16 Ruth riceve tre chiamate in rapida successione da Roberto: «Gordita, mi stanno avvelenando questi figli di p.», una delle frasi deliranti urlate al telefono. A casa di Morales, quel giorno, arrivano sia i sanitari del 118 che gli agenti della volante Lambrate bis per un tentativo di suicidio: l’uomo prova a disfarsi della droga buttandola nel water, ma lascia in giro una busta con 46 grammi poi sequestrata dai poliziotti. Nell’appartamento viene anche trovata una ricevuta di un money transfer che consentirà agli inquirenti di associare il misterioso Julio al peruviano Julio Cesara Garcia Torres.
L’immancabile «Pinella». Non solo sudamericani. L’operazione della Mobile ha smantellato anche una banda di trafficanti e spacciatori italiani. E dalle carte è rispuntato un nome arcinoto della malavita milanese: Antonio Colia detto «Pinella», ex pezzo grosso della banda della Comasina guidata da Renato Vallanzasca deceduto il 15 marzo 2014 all’età di 67 anni in un incidente stradale mentre era in sella a una moto Aprilia. A chi apparteneva quel bolide? A uno degli indagati dell’inchiesta Rubens: Pietro Orlando. Due mesi prima della morte di Colia, i due erano insieme a Cesano Boscone probabilmente per incontrare una terza persona per questioni di droga: «Mi piace ’sto ragazzo, perché è serio, attento e non porta mai codazzi dietro», ne parla «Pinella» riferendosi al fatto che il giovane in questione è capace di tenere lontane le forze dell’ordine. Almeno così pensava Colia.