Emilio
Magni
altra mattina l’attenzione degli anziani in sosta a chiacchierare al "canton di ball", l’angolo della piazza principale, è stata attirata dal passaggio di una lussuosa e potente automobile con al volante un concittadino che tutti quelli della congrega del "canton" conoscevano molto bene. Era "el Lisander legnamée". "Varda che machina el s’è fa el Lisander. L’è diventà sciur anca lü", è stato il commento unanime. Tutti i chiacchieranti hanno convenuto che l’azienda di falegnameria del Lisander ha ottenuto un bel successo fabbricando apprezzati e ricercati mobili di qualità. Quindi era naturale che "el legnamée" ostentasse un po’ di ricchezza. In quel corale elogio è però intervenuto il solito Carletto "guastafeste", con la sua ironia pungente: "Sì ma quel che manda avanti la baracca l’è minga el Lisander l’è el so fredèl. El Lisander el cünta nagött". Per il Carletto i meriti del successo vanno al fratello. Poi ha aggiunto: "El massim ch’el fa el Lisander l’è quel ch’el drizza i stachètt". Insomma l’unico lavoro cui si dedica l’Alessandro è quello di raddrizzare i chiodi: mansione inutile, ridicola. Di solito il "drizzà stachétt" e "cattà su i stachètt" dal paviment (raccogliere i chiodi caduti)" serve per far finta di lavorare. Nel mondo del lavoro nelle botteghe artigiane "el drizza stachètt" è dunque e praticamente il "buono a nulla", tollerato in fabbrica perché parente del proprietario, come è il caso del "legnamée Lisander". Nel dialetto il termine "stachètta" era assai usato. Viene dal gotico "stakka" che vuol dire palo, perno. Il raddrizzare i "stachétt" a colpi di martello però non è operazione disprezzabile o da prendere in giro. L’amico Luis de Melz (Luigi Manzoni di Melzo grande esperto del dialetto) racconta che suo padre lo obbligava spesso a raddrizzare i chiodi. Con questo lavoro si conquistano tante doti, utili per un ragazzo: la pazienza, l’umiltà, la tenacia, la destrezza nelle mani. È un piccolo maestro di vita.
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