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Dopo Expo, Rolando: «Figure di esperienza attorno al tavolo Così Milano può cambiare marcia»

Il docente e manager Rolando: istituzioni e università devono dialogare di Stefania Consenti

Stefano Rolando, presidente del comitato Brand Milano

Milano, 23 settembre 2015 - «Sì ad un pensatoio per il dopo Expo, diffuso, nel senso che faccia dialogare fra loro le istituzioni e le università. Abbiamo un enorme potenziale di ricerca. Come prima cosa ritengo che si dovrebbero ripristinare gli uffici studi nelle istituzioni». Stefano Rolando, presidente del Comitato Brand Milano, autore di “Citytelling. Raccontare identità urbane. Il caso Milano” (edito da Igea) condivide l’idea del Giorno per il dopo Expo, a patto che si «esaltino» le diverse anime della città. «Se si vuole intendere che il sindaco deve poter chiamare in audizioni costanti e programmate figure di esperienza attorno alla “lettura” sull’incidenza delle politiche pubbliche e attorno alla domanda esterna di buona amministrazione, questo è utile ed importante. Chi governa con intelligenza, lo fa. E alla fine questa cosa genera un cerchio ristretto che si appassiona e che con spirito civile sente il dovere di dare una mano».

Professor Rolando, la città sembra essersi risvegliata. C’è il rischio che dopo Expo si spenga nuovamente? «Non credo che ci sia questo rischio. Il cambiamento che è avvenuto nei milanesi negli ultimi tre anni è più profondo. C’entra poco con lo “skyline”, è la città che ha percepito il cambiamento anche nella qualità di relazione fra Milano e l’Italia. In questo sì che ci ha aiutato Expo. Un esempio? La filiera alimentare ha avuto la sua vetrina nel portale Expo, il pomodoro di Pachino, e uso una metafora, non si sarebbe venduto a livello globale senza passare da Milano. Insomma, Milano ha capito di essere il portale di tante cose, non solo della moda ma anche del sistema scienza, del sistema salute, del sistema energia, del sistema di ricerca, della rete universitaria. Tenere sempre in tensione tradizione e innovazione, questa la natura di Milano».

Città moderna e globale... «Un riconoscimento che l’opinione pubblica internazionale sente senza conflittualità, da tempo. Solo i milanesi ci sono arrivati un po’ tardi».

Che fare? «Il problema che Milano ha è di cambiare marcia al suo racconto. Avere una rappresentanza di sé che tenga conto di questo cambiamento. Ci sono le elezioni in vista, chi sarà il celebrante di questo nuovo racconto? Il sindaco di Milano dovrà vener fuori da questo sistema che sta facendo grande la città. E serve una figura che tenga connessa tutta la città, mi immagino un sindaco interpretativo che la racconti al meglio ai milanesi e al mondo. Milano è il principale portale per tirare il Paese fuori dalla crisi. L’altra questione è affrontare la riqualificazione dell’area Expo».

Le piace l’idea di realizzare un polo universitario e delle ricerca? «Non solo. Secondo me si dovrebbe tornare a riflettere su un grande progetto produttivo televisivo. Milano ha una debolezza mediatica rispetto a quel che si pensa. Oltre alla cittadella universitaria, ci metterei il cuore amministrativodella Città metropolitana, quella zona è il perfetto baricentro».

Saranno le città i luoghi chiamati a realizzare politiche d’integrazione... «La scommessa dovrà ripartire da lì, dalla connessione fra centro urbano e aree metropolitane». stefania.consenti@ilgiorno.net