Donatore a cuore fermo al San Paolo. La staffetta del trapianto quadruplo

Ospedale senza Cardiochirurgia. Equipe da Pavia preleva anche fegato e reni

Donatore a cuore fermo al San Paolo. La staffetta del trapianto quadruplo

Donatore a cuore fermo al San Paolo. La staffetta del trapianto quadruplo

Una donazione multiorgano – cuore, fegato e reni – che ha dato speranza a quattro malati, ed esaudito il desiderio espresso in vita dal donatore, un uomo di cinquant’anni, anche se quest’ultimo è morto con arresto cardiaco in un ospedale che non ha un reparto di Cardiochirurgia. Cioè il San Paolo di Milano, nella cui terapia intensiva era ricoverato il cinquantenne, colpito da un arresto cardiaco che gli aveva provocato danni neurologici irreversibili. Gli specialisti dopo aver tentato in ogni modo di salvarlo hanno deciso di "limitare i trattamenti intensivi in rianimazione – si legge nella nota dell’Asst Santi Paolo e Carlo di cui fa parte l’ospedale –. I familiari hanno rispettato e sostenuto la scelta" dell’uomo, che "aveva dichiarato la volontà di donare organi e tessuti dopo la propria morte". Così la macchina è partita: il Coordinamento donazioni dell’Asst dei Santi si è rivolto al Coordinamento regionale guidato dal dottor Marco Sacchi e alla dottoressa Tullia De Feo, responsabile dell’articolazione lombarda del Nord Italia Transplant program (NITp), ed è spuntata la possibilità di una donazione multiorgano, "il cuore combinato con organi addominali".

Un lavoro di squadra allargato: dato che il San Paolo non ha una Cardiochirurgia, è stata coinvolta l’équipe del Policlinico San Matteo di Pavia, uno dei tre ospedali di riferimento per il programma regionale di trapianto cardiaco, che possiede le apparecchiature per la circolazione extracorporea come l’Ecmo e personale in grado di usarle anche per "ricondizionare" gli organi attraverso la perfusione, in modo da riportarli nelle migliori condizioni e aumentare le possibilità di riuscita dei trapianti: è questa tecnica che ha reso possibile trapiantare organi anche da donatori "a cuore fermo" (cioè morti in arresto cardiaco, e non solo in morte cerebrale). Una storia che, ricorda il dottor Andrea Bottazzi del San Matteo, per l’Italia è iniziata nel 2008 proprio all’Irccs di Pavia, e oggi ha superato il 30% di tutte le donazioni in Lombardia.

Nel caso del San Paolo, la perfusione ha consentito anche di riavviare il cuore, prelevato insieme al fegato e ai reni e trapiantato al San Matteo, mentre il fegato è andato a un altro paziente al Policlinico di Milano e i reni ad altre due persone al Niguarda e a Bergamo. "Vogliamo esprimere la nostra profonda gratitudine a tutti i professionisti coinvolti – elenca Davide Chiumello, direttore del dipartimento di Emergenza-urgenza dell’Asst dei Santi –: anestesisti rianimatori, infermieri specializzati, cardiochirurghi, perfusionisti, cardioanestesisti, neurofisiologi, anatomopatologi, ecografisti e personale di supporto". Gi.Bo.