
Claudio De Albertis (Newpress)
Milano, 13 maggio 2016 - «Sono molto soddisfatto. In poco più di un mese, la XXI Esposizione ha aperto i battenti il 2 aprile e li chiuderà il 12 settembre, le presenze sono state oltre 200 mila, sparse nei 18 luoghi. E adesso siamo pronti per la riapertura sul sito di Expo il 25 maggio».Claudio De Albertis, presidente della Triennale (ma anche dell’associazione nazionale costruttori) non è abituato ad usare giri di parole.Va dritto al cuore del problema. «Sono un manager prestato alla cultura», dice quasi per giustificarsi. Ma mai, come in questo momento, il «marchio» Triennale ha avuto maggiore appeal.
Un dato di fatto, vero presidente?
«Ci sono molte presenze straniere, a testimonianza che abbiamo un brand internazionale. E fra loro molti giovani. Anche perché stiamo parlando di un ente culturale che si occupa della contemporaneità. E siccome ritengo che Milano sia la città della contemporaneità, tutto questo fa bene alla nostra città. Possiamo fare affidamento su luoghi che hanno una forte attrattività, dal Mudec a Triennale, magari a svantaggio di altri, altrettanto prestigiosi, ma che si sono appannati nel tempo».
La formula degli eventi diffusi, di uscire fuori dai soliti luoghi, va nel segno di una valorizzazione...
«Sì. L’ottica è di portare fuori la nostra produzione culturale con l’intento di creare, come viatico per il futuro, una serie di sinergie con altre istituzioni culturali. Credo molto ad un “rete’’ che si fondi su una narrazione. Abbiamo in questo momento a Monza, in Villa Reale, una mostra su auto, design e tecnologia e un’altra al museo di Cinisello Balsamo, a Villa Ghirlanda. E saremo all’Expo».
Perché sul sito di Expo?
«Le grandi aree quando vengono dismesse sono a rischio degrado. Per non disperdere la memoria del sito e la sua attrattività ci si occupa della transitorietà. Accade in varie parti del mondo, a Parigi, a Lione. Più di un anno e mezzo fa avevamo dato la nostra disponibilità a fare tutta l’Esposizione sul sito ma le risposte sono arrivate a luglio scorso e noi eravamo già partiti. Comunque un bel pezzo riusciamo ad inaugurarlo, con questa grande mostra che apre il 27 maggio, “City after the city”, appunto una riflessione sulla città contemporanea che ci farà guardare la nostra città da una diversa prospettiva».
Fra meno di un mese si va al voto. Cosa chiede al futuro sindaco ?
«Una delle ricchezze più importante di questi anni è la presenza di giovani con un elevato bagaglio culturale. Si sono impoverite le università del Sud, mi dispiace, a vantaggio di Milano. Questi giovani non hanno paura delle innovazioni, sono un differenziale incredibilmente positivo. In una città che è città della contemporaneità credo che tutto questo vada coltivato. Il Comune dovrebbe, per tornare alla sua domanda, avere un ruolo diverso rispetto al passato, promovere e sostenere le istituzioni culturali, pubbliche e private, che esistono sul territorio. Favorendo la sinergia fra le reti e una conseguente nuova narrazione».
Voterà Parisi o Sala?
«(Minuto di silenzio)...ma il voto non era segreto? Posso dire che entrambi hanno dimostrato di saper gestire la complessità e glielo dico da imprenditore abituato a gestire le complessità. Quando penso ai sindaci passati non riesco a trovare grandi difetti. Li ammiro per il coraggio, tutti ci hanno messo del proprio, si sono sforzati di fare bene, altrimenti non saremmo a questo punto».
Se pensa ad un progetto culturale per Milano nel futuro cosa le viene in mente?
«Ad un palinsesto che trovi una narrazione comune. Per esempio, se fossi sindaco, farei una sola fondazione a governare tutti i luoghi del moderno, dal Mudec al Novecento. E la promuoverei con il massimo sforzo».
Non c’è rischio di creare un carrozzone?
«No. Si creano maggiori sinergie, con effetti economici positivi».
E la Triennale su cosa punta in futuro?
«Abbiamo chiuso il bilancio nel 2015 con un giro d’affari di venti milioni di euro. Quando sono arrivato, nel 2012, erano 12 milioni, nel 2014 siamo saliti a 14 milioni di euro. A questo punto, abbiamo due strade: migliorare sempre di più la nostra produzione culturale che deve essere di alta qualità, se no si fa presto a perdere l’appeal. Abbiamo un palinstesto definito fino al 2017, contiene delle mostre molto importanti nel campo del design e dell’arte. E dobbiamo cercare fondi. Copiando quanto avviene in altre istituzioni culturali mondiali abbiamo creato la Fondazione Amici della Triennale. Non è certo un modo per richiedere elemosine ma creare un rapporto stabile, un dialogo nel tempo, con i futuri consumatori di arte e cultura». stefania.consenti@ilgiorno.net