
Dario Fertilio
Milano, 4 settembre 2016 - Giornalista e scrittore Dario Fertilio, 67 anni, è nato a Modena, ma è arrivato a Milano giovanissimo. Ha prima studiato all’Università Statale, in piena contestazione, e poi ha lavorato per decenni al Corriere della Sera.
In che anno si è trasferito a Milano?
"Era il 1965, avevo 16 anni. Siamo andati via da Modena perché mio padre è stato nominato direttore dell’ufficio regionale del lavoro di via Torino. Andammo a vivere in via Canaletto, in zona Città Studi. Abito ancora lì".
Che scuola ha frequentato?
"Il liceo classico Sant’Ambrogio di via Copernico. Appena arrivato mi misero subito accanto a un compagno di banco eccellente...".
Sarebbe?
"Paolo Berlusconi, il fratello minore di Silvio. Siamo rimasti vicini per tutto il liceo, avevamo un buon rapporto anche se si può dire che lui vivesse già in un altro pianeta".
Perché?
"C’era già la Edilnord e i Berlusconi erano già una potenza. Paolo Berlusconi era un bravo studente e anche un buon calciatore. Giocava nella squadra dell’Edilnord. Era simpatico e non se la tirava. Dopo la scuola per un lungo periodo ha continuato a organizzare i ritrovi degli ex allievi del Sant’Ambrogio. Erano serate piacevoli, lui si divertiva a fare i giochi di prestigio, che sono sempre stati un suo hobby. In più di un’occasione al termine degli incontri distribuiva delle cravatte del Milan, cosa che sopportavo obtorto collo perché tifo Inter".
Dopo il liceo che cosa ha fatto?
"Mi sono iscritto alla facoltà di Lettere della Statale in piena contestazione del ‘68. Studiavo e contemporaneamente insegnavo per mantenermi negli studi. Ho iniziato a fare il correttore di bozze al Corriere della Sera e dopo un anno mi hanno chiamato per fare cronista di nera al Corriere d’Informazione. Ho accettato, rallentando di fatto gli studi. Poi mi sono laureato con due anni di ritardo".
Il libro con cui ha esordito?
"Si intitolava ‘Grande Cervello’ e parlavo della tentazione autoritaria, negli anni ‘70, di molta parte della casta degli intellettuali".
E la sua opera più legata a Milano?
"Sicuramente ‘E Milano va’, scritta assieme all’ex sindaco di Milano Carlo Tognoli. Raccontava dell’atmosfera che si viveva nella città di Craxi e Tognoli".
Ha progetti futuri?
"Ho pubblicato, qualche mese fa, l’Anima del Fuhrer, che racconta la fuga dei nazisti in Sud America. Un’opera dove si alternano dimensione storica e politica con una forte componente irrazionale. E ora sto lavorando a diverse cose, tra cui un saggio dove cerco di dare una nuova e originale lettura del totalitarismo".
I luoghi della città che più le stanno a cuore?
"L’Università Statale, dove ci sono i miei ricordi di studente. Erano gli anni della contestazione violenta e, dopo che aveva prevalso il movimento studentesco più estremista, si era diffuso un clima cupo. Ricordo un grande ritratto di Ho Chi Minh appeso in università, manco fossimo ad Hanoi. Ma ricordo anche il pronto soccorso del Policlinico, che ho sperimentato come cronista, e poi ho ritrovato durante malattia di mio padre, che venne assistito in modo egregio dai medici. E poi la Biblioteca Sormani, dove ho passato giornate intere".
Oggi quali posti frequenta?
"Il Tennis Club Lombardo di via Sismondi, dove vado a giocare da una vita. È Il campo storico del Milan di inizio ‘900. Viale Argonne, invece, è il posto delle mie passeggiate meditative".