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Quando il cuore si ferma all’improvviso. Al San Donato hanno trovato una cura

Un intervento guarisce dalla sindrome di Brugada, un’aritmia simile a quella che ha ucciso Piermario Morosini Il medico: un paziente su tre è ad alto rischio di arresto cardiaco. E tra costoro un terzo non sa di essere malato di Giulia Bonezzi

Carlo Pappone, scopritore della terapia, illustra il nuovo reparto dell’Irccs al governatore Roberto Maroni

Milano, 22 settembre 2015 - Bambini, ragazzi, adulti apparentemente sani, che di punto in bianco crollano, magari nel sonno o sul campo da calcio, perché il loro cuore va in corto circuito. Tecnicamente si chiamano «aritmie cardiache maligne», e sono la causa della «sindrome da morte improvvisa» che uccide 50 mila italiani ogni anno. Non si sa ancora se siano anche la causa dell’arresto cardiaco di Alessandro Pagani, il 21 enne giocatore di basket del Casalpusterlengo salvo perché al palazzetto di Manerbio hanno un defibrillatore e c’erano due medici. Ma sicuramente un’aritmia maligna è stata la causa della morte di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno, sul campo del Pescara al 31esimo della partita, tre anni fa. Aveva una patologia genetica mai diagnosticata. Una patologia della “famiglia”, cugina di un’altra che si chiama «sindrome di Brugada», e la notizia è che al Policlinico San Donato, quest’ultima, sono riusciti a guarirla. Con un singolo intervento.

È «come nascere con un orologio nel cuore che indica il giorno in cui si fermerà», chiarisce il concetto l’aritmologo Carlo Pappone che da marzo dirige l’unità operativa di Elettrofisiologia e aritmologia dell’Irccs, e firma la scoperta (pubblicazione scientifica a ottobre su Circulation Ep) con lo spagnolo Josep Brugada, uno dei due fratelli cardiologi autori, nel ’92, della descrizione più completa della sindrome. Che è ereditaria (50% di probabilità di trasmissione di padre in figlio) e colpisce quasi solo maschi. Tra 0,4 e 1,7 ogni diecimila nati in Italia; in Thailandia invece il 12%, al punto che c’è l’usanza, nelle famiglie “segnate”, di vestire i neonati da bambina per proteggerli dalla «maledizione». In Italia, un malato su tre è ad alto rischio di morte improvvisa; un terzo di costoro non sa nemmeno di avere la Brugada. Il primo sintomo può essere una sincope, ma anche direttamente l’arresto cardiaco. E a quel punto la diagnosi, tardiva, tocca all’autopsia. La sindrome però può anche essere scoperta con un semplice elettrocardiogramma, anche se non è diffusa l’esperienza per leggere nel tracciato quella particolare anomalia. Comunque una diagnosi, sinora, era sostanzialmente una spada di Damocle sul capo del malato e della sua famiglia: non sa se e quando l’aritmia comparirà, qualche linea di febbre (che «eccita le cellule malate») può essere fatale, e l’unica terapia era impiantarsi un defibrillatore. Un dispositivo di sicurezza che «riattivi» il cuore quando si fermerà. Era questa la vita di 14 malati, età media 39 anni, operati dall’équipe di Pappone a partire dallo scorso novembre: a sei mesi dall’intervento il loro elettrocardiogramma è normale e sperano di potersi espiantare il defibrillatore. L’intervento (3-4 giorni di ricovero) consiste nell’introdurre un sondino che arriva all’epicardio (la superficie esterna del cuore) e rileva i segnali elettrici. Con l’aiuto dei farmaci, si mette in evidenza la zona esatta del ventricolo destro in cui si esprime la malattia, e questa viene “bruciata” con energia a radiofrequenza. I pazienti operati sinora sono 25, ma «vogliamo fare del San Donato il centro di una rete mondiale, abbiamo malati in arrivo da Barcellona, dalla Georgia, da Abu Dhabi, e medici per diffondere la tecnica. Può cambiare la vita a centinaia di migliaia di persone nel mondo. Forse milioni».