
di Massimiliano Mingoia
Alessandro Amadori, sondaggista, partner dell’Istituto Piepoli, l’affluenza a Milano si è fermata al 47,69%, per la prima volta nella storia sotto il 50%. Quali sono i motivi?
"È un dato significativo. A livello nazionale, che vale anche per Milano, c’è una parte ampia di elettorato che non si sente più rappresentata dai partiti. Non è una condizione nuovissima, perché già 10 anni fa Patrizia Catellani dell’Università Cattolica dimostrò che metà dell’elettorato aveva perso il senso di appartenenza e di engagement. L’offerta politica ha deluso troppe volte gli elettori e quindi nasce questo distacco, sorprendente per un’elezione comunale, perché di solito la scelta del proprio “amministratore di condomino’’ cittadino coinvolge gli elettori".
A livello milanese, invece, c’è qualche motivo che ha spinto gli elettori a disertare i seggi?
"C’è stata una campagna elettorale tra le più povere che io abbia mai osservato. Se uno non avesse saputo che c’erano le elezioni, non si sarebbe accorto della campagna elettorale".
Il sindaco Sala ha tenuto volutamente un basso profilo mentre il suo avversario di centrodestra, Luca Bernardo, non è riuscito a far accendere i riflettori sulla sfida per Milano.
"Bernardo non è entrato in partita e Sala ha vinto quasi non giocando la partita. Ha vinto quasi a tavolino".
Eppure il centrodestra qualche mese fa sembrava poter contendere Milano al centrosinistra, come cinque anni fa.
"Sì, Milano era contendibile. Molto è dipeso dalla scelta del candidato sindaco da parte del centrodestra. Io ho conosciuto Bernardo, è una brava persona, ma non era preparato per affrontare l’arena politica. Ha pagato una “naïveté’’ forse eccessiva per una sfida importante come quella per Palazzo Marino. Io non rimprovererei nulla a Bernardo, non aveva l’armamentario di base. Per una campagna che alla fine è durata un mese, partire con un esordiente per competere con una figura rilevante come Sala era una missione impossibile. Bernardo ha fatto quello che ha potuto. Per una metropoli complicata come Milano è azzardato mettere nell’arena un naïf totale. Serve una certa tecnicalità nell’offerta politica, nella progettualità e nella comunicazione. Bernardo non ha avuto il tempo per prepararsi. Era come prendere un dilettante e provare a trasformarlo in un mese in un atleta olimpionico. È dura".
Il centrodestra ha puntato su un uomo della società civile e non su un politico. Ha sbagliato? Anche nel 2016 scelse un civico, ma con un profilo diverso da Bernardo: Parisi.
"Certo, anche Parisi era un uomo della società civile, ma aveva una tecnicalità comunicativa. Con il senno di poi, quella di Bernardo non è stata una scelta brillante da parte del centrodestra. Non tanto perché è un uomo della società civile, ma per le sue caratteristiche personali. È stata una scelta azzardata, il risultato finale lo dimostra".
Il caso Morisi e la videoinchiesta sulla Lobby nera che hanno colpito la Lega e FdI hanno avuto un’influenza sull’affluenza e sul risultato?
"Penso che possano avere avuto un affetto sul disincanto e sul distacco dalla politica più che aver determinato il risultato finale. Insomma, non hanno trasformato un pareggio in una sconfitta. A me era già chiaro 15 giorni fa, prima di quegli scandali, chi avrebbe vinto a Milano. Certo, non ho trovato “fair’’, corretto, che l’inchiesta su Morisi sia uscita a ridosso dal voto. Ma credo che abbia solo contribuito a far diminuire l’affluenza alle urne degli elettori di centrodestra".
A questo proposito, ritiene corretta l’equazione spesso citata che più si abbassa la percentuale dei votanti e più è favorito il centrosinistra?
"I rapporti tra partecipazione e orientamento di voto sono più complessi. Negli ultimi anni è importante il voto d’opinione, che è più un voto per il centrodestra e per il M5S. Non a caso i grillini sono andati maluccio. Per il centrodestra il discorso è un po’ diverso, perché negli ultimi anni Lega e FdI hanno sviluppato capacità di mobilitazione. Non attribuirei alla mancata affluenza il fatto che il centrosinistra abbia “performato’’ meglio. È dipeso di più dalla scelta delle candidatura e dall’offerta politica. Il centrosinistra è arrivato a queste amministrative con un’offerta più robusta".
Il capolista Pd Pierfrancesco Maran sostiene che "la bassa affluenza non è un dato politico perché caratterizza anche le altre città". Condivide? O è un giudizio troppo liquidatorio della fuga dalle urne?
"Conosco e stimo Maran, è una persona intelligente. Ma penso che l’atteggiamento corretto di fronte a un crollo del genere dell’affluenza sia quello di voler riconquistare i cittadini che non hanno votato. Bisogna puntare a una maggior partecipazione, soprattutto a Milano".
Salvini e Berlusconi sono leader milanesi. Questa batosta alle Comunali meneghine può servire come lezione per ricostruire il centrodestra anche in chiave nazionale?
"Sì. Il centrodestra ha bisogno di lavorare su una riaggregazione progettuale. Per ora ci sono tre partiti ognuno dei quali mostra una propria bandiera. Dai tre partiti dovranno passare a progetto comune, altrimenti per loro sarà difficile vincere".