Coronavirus, la testimonianza: "Io, guarita. Più del virus pesa la paura"

Morena Colombi, 59 anni di Trucazzano ora è in convalescenza. "Chiusa in una stanzetta, un calvario la disorganizzazione"

L'ospedale di Treviglio

L'ospedale di Treviglio

Trucazzano (Milano), 28 febbraio 2020 - Morena Colombi è guarita dal coronavirus. Ha 59 anni, compiuti il 21 febbraio mentre era ricoverata, è operaia alla Intercos di Agrate. È stata dimessa mercoledì pomeriggio da Bergamo, ora è in autoisolamento a casa, a Truccazzano, nel Milanese, per altri 14 giorni.

Si sente una sopravvissuta? "No, non mi definirei così. Voglio rassicurare chi ha il tampone positivo: da questa malattia si esce. E con meno difficoltà di quanto si possa temere. Non è da sottovalutare, ma neppure da prendere come se fosse peste. Bisogna piuttosto preoccuparsi del fatto che la macchina dell’assistenza non è affatto rodata".

Cosa le è successo? "Ho chiamato il 112 per un giorno intero, il 14 febbraio, senza ottenere risposta. Quando a fine mattina del 15 sono riuscita a parlarci, mi hanno detto che sarei stata ricontattata dal ministero, ma nessuno si è fatto vivo. Allora, mi sono rivolta al Sacco dove ero stata ricoverata tanti anni fa per una polmonite virale, e loro mi hanno consigliato di andare al pronto soccorso. E qui è cominciato il mio calvario".

A Treviglio? "Esattamente. Quando ho detto al medico di guardia che lavoravo in un’azienda in cui le persone viaggiano in Asia, Corea e Cina, per poco non mi prendeva a male parole. Mi ha detto che non mi sarei dovuta presentare, allora gli ho mostrato il telefono con tutti i tentativi che avevo fatto, al 112, al Sacco. A quel punto, lui e i suoi colleghi mi hanno chiusa in un ufficetto dismesso accanto all’accettazione con due scrivanie, un tavolo per garze, senza bagno, e mi hanno messa a dormire su una barella volante recuperata in qualche corridoio. Ho dovuto usare la padella e un lavandino dove lavarmi. E’ stato terribile. Sono rimasta in queste condizioni dal 22 febbraio dalle 19.30 alle 6.30 del 25 febbraio quando sono stata trasferita a Bergamo".

Sintomi? "Il 17 febbraio ero andata dal mio medico di famiglia con quella che sembrava un’influenza. Non mi ha visitata, mi ha dato un certificato di malattia di una settimana. tre giorni prima, venerdì 14 avevo la febbre, 38 e mezzo. Ma quel che mi ha insospettita, è stata la tosse. Secca, non passava. Il tampone mi è stato fatto a Treviglio e spedito a Pavia. Martedì è arrivato il responso: Covid-19. A Bergamo mi hanno tenuto un giorno e subito dimessa. Sto bene. Ora, mi auto-monitoro. Certo, a casa, non ci sono controlli. Potrei andare dove mi pare, nessuno verifica".

Teme di essere considerata un untore? "Sì. Succede già. Abito in un paesino dell’hinterland dove raccontano che a casa mia sono arrivati medici e carabinieri a disinfestare con tute bianche, come si vede nel telefilm. Tutte bugie, frutto dell’ignoranza. Mi spiace che il disagio sia esteso – ingiustamente – al resto della mia famiglia, dove, fra l’altro, nessuno è positivo al tampone. Ma sono comunque in casa, ai domiciliari, come me. Questi sono i veri postumi del virus".  

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