Pronto soccorso, l’assedio dietro i triage: "Qui è già peggio di marzo, siamo sfiniti"

Le voci degli infermieri dei Ps sovraffollati. Al Sacco spuntano le brandine. Appello della primaria: "Milanesi aiutateci rispettando le regole"

Pronto soccorso dell’ospedale Sacco con pazienti in sala d’attesa

Pronto soccorso dell’ospedale Sacco con pazienti in sala d’attesa

Milano, 27 ottobre 2020 - Dietro sale d’attesa quasi deserte i pronto soccorso sono intasati di pazienti Covid o col sospetto di esserlo. L’assedio dei grandi ospedali milanesi battezzati hub per il coronavirus, nei giorni della seconda ondata e dell’aumento esponenziale dei contagi, è una realtà che si rivela guardando oltre le apparenze: "È una bomba ad orologeria. Adesso ci sono già oltre settanta pazienti, sono piene stanze e anche i corridoi. A mezzogiorno supereremo i cento" spiegava ieri a metà mattina un infermiere del pronto soccorso dell’ospedale Sacco. Tranquillità solo apparente anche al San Paolo, ma un infermiere riferisce che anche lì "è pieno. Come tutti i pronto soccorso a Milano".

Al San Carlo un’operatrice del 118 spiega che un conto è quello che si vede nella sala d’attesa - "dove i parenti non possono più stare" - e ciò che succede dentro: "E oggi è meglio degli altri giorni perché per la pioggia chi non ha sintomi gravi preferisce rimanere a casa". Per superare le apparenze, in realtà, basterebbe uno sguardo all’app Salutile della Regione, scaricabile da qualunque cittadino smartphone-munito: ieri intorno alle 20, tra i Covid hub cittadini, iniziava a respirare solo il Niguarda ("Affollato" con 29 pazienti in trattamento di cui un codice rosso e 10 gialli) che ha appena aperto un’infornata di letti Corona nei reparti; sovraffollati, invece, il Policlinico con 54 pazienti in trattamento (7 in codice rosso e 20 in giallo), il San Carlo (47 in trattamento, 7 in rosso e 15 in giallo), il San Paolo (64 in trattamento, 8 in rosso, 20 in giallo), i privati Humanitas (53 in trattamento, 5 “rossi“ e 21 gialli) e San Raffaele (67 in cura, 6 in codice rosso e 28 in giallo). Mentre ad esempio il Policlinico San Donato, privato ma non Covid hub, risultava "poco affollato"; e così gli ospedali pubblici di Sesto e di Cremona (quest’ultimo Covid hub), intorno ai quali si son levate proteste politiche per il timore che la riorganizzazione delle forze disposta dalla Regione dreni personale verso gli hub milanesi o in Fiera.

Intanto all’ospedale Sacco, centro di riferimento per le malattie infettive che a febbraio si divise col San Matteo di Pavia i primi contagiati di Codogno, e nelle settimane successive si riempì di pazienti gravi dalle province devastate dal Covid, il pronto soccorso, cioè il punto d’ingresso dei malati di Milano, ora vive una situazione mai sperimentata nemmeno a marzo. Alle 20 di ieri 64 pazienti in trattamento (e 12 in attesa), ben 14 erano codici rossi (il doppio degli altri hub) e altri 31 gialli. Anche dei 70 registrati alle 11 di mattina, 12 erano “rossi” e 27 gialli; nella sala dove si fa l’accettazione abbiamo visto cinque persone sedute, e tre adagiate su barelle dietro un’area transennata.

«Qui ormai arrivano solo sospetti Covid e positivi - spiega un infermiere -. Abbiamo dovuto sistemare persone sulle brandine in sala d’attesa perché dentro non c’è più posto. Neanche a marzo era così: otto mesi fa l’andamento è stato piano piano. Ora è come un macigno, oltre quella porta ci sono persone sistemate pure nei corridoi. Ci sono pazienti con la Venturi (che nella scala dell’ossigenoterapia si colloca a metà tra la mascherina e il casco, ndr ) o con il Cpap". Ce ne sono però anche altri che all’ospedale non dovrebbero stare: "Se siamo così intasati, è perché uno alla prima febbre invece che andare dal medico viene in ospedale - ragiona un operatore sanitario -. Anche positivi non gravi, che farebbero bene a curarsi a casa, isolandosi nella loro stanza. È venuta una persona che aveva fatto un tampone risultato positivo 3 giorni prima. Gli ho chiesto: “Fa fatica a respirare?”, ha risposto di no. Il medico di base gli aveva già dato una cura, con eparina e antibiotico, ma lui è voluto venire comunque al Sacco e si è addirittura fatto portare in ambulanza…" La preoccupazione e l’ansia sale fra chi si trova, di nuovo, in prima linea: "Non ce la facciamo più, stiamo crollando uno alla volta. Di sera siamo sei o sette ad assistere 80/90 persone quasi tutte allettate o ventilate. Non siamo carne da macello".

L’ospedale Sacco continua a curare anche i pazienti non Covid, ma al suo pronto soccorso le ambulanze ormai portano solo i Corona acclarati o sospetti; i “puliti“ che si presentano da soli "vengono trattati in un percorso seoparato, cerchiamo di gestirli qui o li mandiamo al Fatebenefratelli", conferma la responsabile del Ps Anna Maria Brambilla, contattata in seguito dal Giorno . Non nasconde la necessità di tirar fuori le brandine ("Per i pazienti giovani non gravi; perché sì, ne vediamo anche di gravi, trentenni e quarantenni che devono usare il Cpap"), o d’intubare un malato lì in Ps, che poi è stato trasferito perché l’ospedale ieri ha aperto altri letti in terapia intensiva. Il reparto di osservazione breve, pieno anche quello, "ci sta salvando: cerchiamo di ricoverare chi ne ha bisogno e a chi può andare a casa diamo i saturimetri e un follow up telefonico grazie agli specializzandi.

Anche coi medici di base stiamo lavorando, ma siamo solo alla seconda settimana ed è vero che qui è già peggio di marzo: allora c’era il lockdown e Milano ha retto, adesso è ancora quasi tutto aperto e anche il personale rischia di contagiarsi fuori dall’ospedale o finire in quarantena. La situazione è grave e preoccupante e i milanesi devono saperlo: abbiamo bisogno del loro aiuto, che facciano ciascuno la propria parte lavando le mani, mettendo la mascherina, evitando di assembrarsi e di venire in pronto soccorso solo per avere un tampone più velocemente. Negli ospedali stiamo facendo il massimo, ma le nostre risorse non sono infinite".

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