Scaldare gli alimenti nel microonde, attenzione ai contenitori di plastica: ecco perché. Lo studio della Statale e Bicocca

Uno studio coordinato dalle due università milanesi, svolto presso l’azienda EOS, che ha utilizzato il metodo innovativo ‘Spes’

Forno a microonde, attenzione ai contenitori di plastica per alimenti (foto iStock)

Forno a microonde, attenzione ai contenitori di plastica per alimenti (foto iStock)

Milano, 26 maggio 2024 – In ufficio portate la ‘schiscetta’? È sempre una buona e pratica idea, ma attenzione se la scaldate al microonde. Secondo uno studio di due università di Milano, se lo si fa in maniera non appropriata, si può contribuire al rilascio di microplastiche nell’ambiente. Ma vediamo tutto più nel dettaglio.

Lo studio

Riscaldare la “schiscetta” nel forno a microonde potrebbe portare al rilascio di microplastiche nell’ambiente. È quanto emerso da uno studio coordinato dall’Università Statale di Milano, in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca e svolto presso EOS, un’azienda che sviluppa una tecnologia per la caratterizzazione ottica di polveri ideata nei laboratori di Fisica dell’Università Statale di Milano, chiamata “SPES” (Single Particle Extinction and Scattering).

La tecnologia ‘SPES’

L’idea di verificare se i contenitori alimentari in plastica scaldati al microonde rilasciassero micro e nanoplastiche è partita da EOS, che ha utilizzato la tecnologia “SPES” evidenziando la formazione sistematica di nano e micro-sfere di plastica durante il riscaldamento di acqua pura, un esperimento controllato volto a simulare quanto avviene durante il riscaldamento del cibo.

“SPES” è un metodo innovativo che permette di classificare nano e micro particelle in maniera molto precisa e completa, ha spiegato Marco Pallavera, Direttore Ricerca e sviluppo della EOS, ideatore del protocollo di misura utilizzato nello studio e primo autore dell’articolo. “Lo studio, iniziato quasi per curiosità, ha subito mostrato l’adeguatezza del nostro metodo a costruire un protocollo solido e affidabile per il problema in studio”, ha continuato Tiziano Sanvito che amministra l’azienda fin dalla sua fondazione nel 2014.

“I dati presi da EOS hanno mostrato subito una forte solidità, fondamentale per approcciare un problema delicato come questo”, ha aggiunto Marco Potenza, docente di Ottica del Dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano, inventore della tecnica utilizzata nello studio e commercializzata da EOS, oltre che responsabile del Laboratorio di Strumentazione Ottica e Direttore del Centro di Eccellenza CIMAINA (Centro Interdipartimentale Materiali e Interfacce Nanostrutturati).

Il risultato

Dopo molti controlli incrociati sulle procedure sperimentali, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che, in effetti, riscaldando acqua pura nei contenitori alimentari si liberano nano e microsfere composte del materiale di cui è costituito il contenitore stesso: il polipropilene, un materiale biocompatibile che ha la caratteristica di fondere tra i 90 e i 110 gradi. Portando l’acqua a ebollizione, quindi, una piccola parte di polipropilene si fonde per poi solidificare nuovamente in acqua. Lo stesso processo, d’altra parte, che si utilizza per produrre industrialmente nanosfere di materiali polimerici, utilizzate in molti settori industriali dalla cosmetica allo sviluppo di materiali innovativi.

L’indicazione che si trova sui contenitori adatti all’uso per microonde riportano infatti il limite di calore, espresso in gradi, da non superare, come ha sottolineato anche Tiziano Sanvito, amministratore di Eos: “È interessante notare che diversi produttori specificano di non portare i contenitori oltre i 90 C, oppure di non riscaldarli per troppo tempo nel microonde, oppure ancora di non usare l’apparecchio alla massima potenza. Quindi, seguendo queste indicazioni, l’effetto non si verifica”. “Viceversa, le nano e micro-particelle prodotte andranno a contribuire alla dispersione di plastica in ambiente che caratterizza il mondo moderno”, ha concluso Potenza.