di NicolaPalmaVincenzo Senese, figlio del boss della camorra a Roma Michele ’o Pazzo, era già in cella da luglio, quando è stato ammanettato a valle di un’indagine su una serie di società cartiere messe in piedi per riciclare i soldi dei clan: il provvedimento è stato notificato al quarantasettenne nel carcere di Lecce. Gli altri due, il presunto referente dei Senese a Milano Gioacchino Amico e il sessantaduenne palermitano Pietro Mannino alias "Architetto", sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova, guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino, e portati rispettivamente negli istituti penitenziari di Palermo e Busto Arsizio. È l’effetto immediato della sentenza della Cassazione che ieri ha respinto i ricorsi dei tre indagati contro la decisione del Tribunale del Riesame, che a ottobre aveva accolto l’impianto accusatorio della maxi inchiesta Hydra su un’inedita alleanza tra presunti affiliati di Cosa Nostra, camorra e ’ndrangheta condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di via Moscova, coordinati dal pm della Dda Alessandra Cerreti e guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino.
Una decisione, quest’ultima, che ha sconfessato in gran parte la linea del gip Tommaso Perna, che un anno prima – non senza generare inevitabili tensioni con la Procura – aveva smontato quasi interamente le tesi degli inquirenti, rigettando 142 richieste di misura cautelare su 153 e bocciando l’accusa di associazione mafiosa come "consorzio" delle tre mafie, ribattezzato dai pm "sistema mafioso lombardo". Ora il verdetto della Suprema Corte. Solo il primo di una serie di pronunciamenti che arriveranno nelle prossime settimane, al termine delle udienze a scaglioni su decine di posizioni aperte, che riguardano altrettanti indagati per cui il Riesame ha disposto la custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa. Sì, perché tre mesi fa il collegio presieduto dalla giudice Luisa Savoia e completato dalle colleghe Monica Amicone e Caterina Ambrosino ha disposto la custodia cautelare per 41 indagati (sui 79 nel mirino della Dda), tra cui il settantasettenne Paolo Aurelio Errante Parrino (per lui l’udienza è fissata la prossima settimana), considerato il "punto di raccordo" tra il presunto "sistema mafioso" in Lombardia e il "capo dei capi" Matteo Messina Denaro, cugino da parte di madre, morto nel 2023. Per il Riesame, in Lombardia negli ultimi anni è esistita, sia dal punto di vista "militare" con le attività più classiche, come estorsioni e traffici di droga, sia con le infiltrazioni finanziarie, una nuova e unica associazione mafiosa composta da presunti affiliati alle tre mafie, con una sorta di patto per affari in comune.
In sostanza, i singoli componenti avrebbero "trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza". Tra loro, figurano pure i nomi di Giuseppe Fidanzati e Massimo Rosi, secondo i pm vertici dell’associazione per conto di Cosa Nostra e ’ndrangheta, attori protagonisti del patto criminale sancito con il presunto emissario della camorra Gioacchino Amico. Per sei posizioni, le misure cautelari erano state respinte pure dal Riesame per assenza di gravi indizi, mentre le restanti, 32 in tutto, non sono state accolte solo per mancanza delle esigenze cautelari, con conferma, comunque, dei gravi indizi.