MARIO CONSANI
Cronaca

Appalti e infiltrazioni, condannata la "borghesia" mafiosa

La cosca catanese dei Laudani protagonista insieme ad alcuni imprenditori: pene fino a 16 anni

Quindici persone arrestate per mafia

Milano, 30 novembre 2018 - Mafia e appalti, sette condanne e un’assoluzione. E pene fino a sedici anni di carcere. Al centro della vicenda processuale, le presunte infiltrazioni della cosca catanese dei Laudani negli appalti del colosso degli alimentari Lidl in Italia e della Securpolice, il consorzio di società, ora commissariato, che era responsabile della vigilanza anche per il Palazzo di giustizia milanese. La settima sezione penale, presieduta da Carla Galli, è andata oltre le richieste di condanna del pm Paolo Storari, che arrivavano fino ai 15 anni e 8 mesi di carcere. Assolto per non aver commesso il fatto il solo Simone Suriano, ex dipendente della catena di supermercati tedesca. I giudici hanno stabilito per il Comune di Milano, che si era costituito parte civile, una provvisionale di 40mila euro.

Le accuse, a vario titolo, sono associazione per delinquere con l’aggravante mafiosa, emissione di fatture inesistenti, reati fiscali, corruzione. In particolare, condannato a 16 anni e 4 mesi di carcere l’imprenditore Luigi Alecci, considerato uno dei promotori dell’organizzazione criminale, insieme a Emanuele Micelotta e Giacomo Politi, entrambi 7 anni di reclusione. I giudici hanno poi inflitto, rispettivamente, 8 anni e 6 mesi di carcere e 5 anni e 6 mesi, ai fratelli Alessandro e Nicola Fazio, gli ex titolari della Securpolice, gruppo specializzato in sicurezza che si occupava di vigilanza anche per il tribunale del capoluogo lombardo. Quattro anni e mezzo poi ad Alfonso Parlagreco, 8 anni e 6 mesi a Salvatore Di Mauro, ritenuto esponente della famiglia mafiosa. I giudici hanno disposto la confisca di soldi, conti correnti, immobili e mantenuto il sequestro di altri beni già disposto in fase di indagine. Nella sua requisitoria, il pm della Dda Storari, riferendosi agli imputati, aveva messo in luce i concetti di «borghesia mafiosa» e di «capitale sociale della criminalità organizzata».

Mesi fa con rito abbreviato erano già state condannate in primo grado dal gup Giusy Barbara altre persone coinvolte nell’indagine sui tentacoli dei clan catanesi: a tre anni per corruzione l’ex funzionaria del Comune di Milano Giovanna Afrone, per aver promesso - in cambio di uno scatto di carriera - una via privilegiata sugli appalti delle pulizie delle scuole. Persino un sacerdote, don Giuseppe Moscati - per lui un anno e due mesi di reclusione - perché in rapporti con Giacomo Politi, uno dei presunti capi dell’associazione, avrebbe emesso fatture false per oltre 12mila euro in cambio di finanziamenti da 5 mila euro «per alcuni progetti musicali in fase di realizzazione». L’ex dipendente in pensione della Provincia di Milano Domenico Palmieri, accusato di aver intessuto relazioni per il clan, patteggiò 3 anni e 4 mesi, mentre un ex dipendente della Regione Lombardia, Orazio Elia, concordò con l’accusa 3 anni e 3 mesi.