Quarantene e malattie infinite a Milano: "Ora i negozi sono a rischio paralisi"

"Manca personale e la Covid-burocrazia affossa i tentativi di ripresa". Meghnagi (Confcommercio): i miei dipendenti guariti ma costretti a stare a casa

I negozi sono alle prese in questi giorni con l’obbligo di Green pass per i clienti

I negozi sono alle prese in questi giorni con l’obbligo di Green pass per i clienti

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Milano - La «burocrazia» in cui incappano i dipendenti dopo un contagio da Covid-19 assedia la produttività degli esercizi commerciali. Secondo Gabriel Meghnagi, presidente della rete associativa di vie di Confcommercio Milano, "il problema del personale" è al momento fra le criticità più evidenti per i commercianti già alle prese con gli effetti della variante Omicron e dello smart working, con vendite in calo a gennaio del 20% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. "Abbiamo ricevuto numerose segnalazioni in cui la riammissione in servizio dei lavoratori nei negozi dopo assenza per malattia avviene dopo due settimane o addirittura dopo venti giorni".

Questo succede "nonostante i dipendenti sottoponendosi a un tampone in una struttura riconosciuta abbiano avuto conferma di essere guariti, con esito negativo e sblocco del Green pass", spiega Meghnagi, anche numero uno di Ascobaires. La situazione l’ha coinvolto direttamente "per uno dei punti vendita d’abbigliamento, con tre dipendenti su cinque guariti ma costretti a rimanere a casa". La norma più recente che regola le misure di isolamento è la circolare ministeriale dello scorso 30 dicembre che precisa "per i soggetti contagiati che abbiano precedentemente ricevuto la dose booster, o che abbiano completato il ciclo vaccinale da meno di 120 giorni, l’isolamento può essere ridotto da 10 a 7 giorni". Per gli altri l’isolamento è di almeno 10 giorni dal test positivo.

Non c’è invece indicazione precisa per il soggetto ancora positivo dopo un primo periodo di isolamento: "La valutazione, in base alla situazione del paziente, spetta al medico di medicina generale" fanno sapere da Ats Milano. Secondo Meghnagi "se il lavoratore è ancora lievemente positivo l’orientamento diffuso dei medici di medicina generale è prolungare di default il certificato di malattia di un’altra settimana o di altri dieci giorni. Anche se il paziente sottoponendosi a un tampone dopo tre giorni scopre di essere diventato negativo. Ma non basta per tornare in azienda perché gli manca il certificato medico di fine malattia". Il risultato è che "lavoratori guariti sono costretti a rimanere a casa, con effetti depressivi. C’è un aggravio di costi per l’Inps e l’impresa.

Fra contagi e quarantene i negozi si ritrovano a fronteggiare una drammatica carenza di personale. Nel caso di piccoli esercizi con cinque dipendenti ne bastano due a casa perché sia assente il 40% del totale. Trovare una sostituzione breve è impossibile e il rischio è costringere altri lavoratori a straordinari o a rinunciare ai giorni di riposo. Chiediamo perciò alle istituzioni competenti, inclusa regione Lombardia, di sollecitare un orientamento diverso fra la classe medica per evitare una "paralisi produttiva"" conclude Meghnagi.  

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