NICOLA PALMA
Cronaca

Nelle intercettazioni l'incredibile vicenda del colombiano che ha raggirato i clan

Il "gancio" scomparso. E i contatti tedeschi che portano a Nirta

I soldi occultati in un doppio fondo (Ansa)

Milano, 25 maggio 2017 – I vecchi contatti col Sudamerica. Il mediatore dei narcos che svanisce col bottino. E una pista che porta a un super latitante calabrese arrestato 4 anni fa. L’operazione «Area 51» – che l’altroieri ha portato in carcere 21 persone per traffico internazionale di stupefacenti – riapre una finestra sull’inchiesta «Quito 2» datata 2013 del Ros di Brescia e in parte contribuisce a chiuderne il cerchio. Sì, perché nell’ordinanza di custodia cautelare del gip Maria Cristina Mannocci si parla tanto di quegli anni, quando il gruppo legato alla ’ndrina Gallace di Guardavalle già smerciava cocaina in quantità.

Nelle carte si ricostruisce ad esempio il raggiro subìto da Alfio Di Mare detto «Il Vecchio», che ritroveremo nel 2015 braccio destro del capo Francesco Riitano. Il catanese classe ’50 cerca di sfruttare una sua conoscenza – sono stati reclusi nella stessa cella ad Asti – per intavolare una compravendita di «bianca» per 300mila euro: spende il nome di Juan Carlos Hohmann, lo descrive come affidabile e convince i suoi referenti a entrare nell’affare. Lui stesso si reca a Medellin nel febbraio 2013 per concordare i tempi: tutto dovrebbe andare in porto in estate. C’è pure la consegna dei soldi, stando a quanto risulta dai dialoghi intercettati: 150mila euro. Qualcosa, però, va storto. A un certo punto, Hohmann smette di rispondere al telefono: è sparito. Di Mare si allarma e contatta, con l’aiuto della traduttrice cilena Luisa Silvana Colombo, la ex fidanzata del colombiano: «Ciao caro Alfio – le risponde lei – l’ultima cosa che ho saputo da un amico in comune è che ha avuto un incidente a Pasto». Il carteggio via sms continua, ma non ci sono notizie certe: prima si parla di un arresto per rissa, poi di un blitz in un magazzino pieno di «mercancia», cioè di coca.

Il 24 luglio, una conversazione tra Di Mare e il socio Leopoldo Mancino fa emergere la verità: «Sai che mi sono informato... in quell’albergo (leggi carcere, ndr) non c’è quella persona... un figlio di p.!». Conclusione: trattativa a monte. Di Mare medita vendetta («Si è mangiato i soldi, sparito... sto là anche un mese, ma lo trovo piglio un cacciavite glielo devo piantare...»), ma nel frattempo deve guardarsi dalla reazione dei clan beffati: «E meno male che non hanno pensato che io c’entravo qualcosa...». Il lavoro di riavvicinamento sarà lungo e delicato, e alla fine porterà Di Mare a diventare l’esecutore materiale degli ordini di Riitano: «Adesso lo manda di qua di là... E ci deve andare...», commenteranno 3 anni dopo i tecnici aeronautici Davide Mazzerbo e Antonio Traettino, assoldati da Riitano per nascondere la coca nelle carlinghe degli aerei.

Torniamo al 2013. Il fallimento targato Di Mare costringe i calabresi a cercare altri canali di approvvigionamento. Il 1° ottobre 2013, Damiano Emanuele, uomo operativo dell’organizzazione, prende un aereo per Francoforte sul Meno: ad attenderlo ci sono due uomini su una Bmw X3 nera intestata a tale Alfonso La Porta. Chi è? La stessa persona che il 26 maggio 2015 verrà arrestata in Germania insieme ad Agazio Vetrano (l’intestatario della Mercedes utilizzata dal gruppo per spostare soldi e cocaina in Italia) per il possesso di 7,7 chili di cocaina. Non solo. Sì, perché, secondo quanto comunicato dagli investigatori tedeschi, dietro quel nome si celava il latitante Francesco Nirta «durante la sua permanenza a Francoforte prima di trasferirsi in Olanda». Nirta fu arrestato vicino Amsterdam il 20 settembre 2013. Dieci giorni prima dell’incontro a Francoforte tra Damiano e un suo uomo.