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Milano, 9 ottobre 2020 - Cognome di peso. Si potrebbe definire figlio d’arte, non fosse che di ambienti criminali si parla. Le orme del padre sono scie di coca, hashish e marijuana. Fiumi di droga che per anni hanno inondato le piazze di Comasina e Bruzzano.
Un passato che resta incollato alle scarpe del figlio, spacciatore, e che ora lo allontana sempre di più dal padre, in carcere sì, ma collaboratore di giustizia da più di tre anni. Con la droga addosso, l’erede rifugge il marchio di “figlio di infame“. La frattura tra i due è venuta a galla mercoledì sera, quando i poliziotti del commissariato Comasina guidati dal vicequestore Antonio D’Urso hanno arrestato per spaccio Dylan Rossi, 21 anni, figlio di Laurence. Già, Laurence, oggi quarantaduenne, trafficante all’origine dell’indagine Red Carpets, che nel luglio del 2018 ha portato all’arresto di 23 persone tra capi e collaboratori dell’organizzazione attiva dal 2013 al 2017: sue le redini dello spaccio nei due quartieri a nord della città. Proprio Rossi aveva fornito dettagli importanti per smantellare l’impero criminale. Un regno in cui il figlio Dylan, che ha precedenti di polizia sempre per spaccio, è cresciuto.
L’altro ieri, durante il "pattuglione" della polizia che ha passato al setaccio le strade dalla zona di piazzale Maciachini fino al cuore della Comasina identificando 166 persone di cui 40 con precedenti, l’attenzione dei poliziotti si è concentrata anche sulla sagoma di quel ragazzo, su una panchina di piazza Gasparri insieme al complice B.G., incensurato di 52 anni, pure lui finito in manette. Erano seduti su 12 confezioni di cocaina, 12,6 grammi in totale, e 8 involucri di marijuana. Dosi pronte per la vendita. Così è scattato l’arresto. Rossi junior è ritenuto dagli inquirenti un piccolo pusher, che quello fa per vivere, in una zona nella quale dopo Red Carpets la gestione dello spaccio si è frammentata. E già c’era stato un cambiamento nel 2015, quando Rossi padre e il cognato-socio Luca Saccomano, pur restando fonte di approvvigionamento della droga, avevano deciso di vendere la piazza per 200mila euro a nuovi gestori, estendendo poi la fornitura di stupefacente anche a Bruzzano. Un giro enorme di denaro, poi reinvestito in immobili. Finirono in manette anche due imprenditori, Pasquale Velotti e Davide Giulivi, che per conto di Rossi avevano comprato due case a Seregno e Bollate per poi intestarle alla società "Ilpe", anagramma di "Immobiliare Laurence Pablo Escobar".
Laurence Rossi era stato catturato il 12 aprile 2017, nonostante si fosse nascosto in una stanza segreta, ricavata dietro una cabina armadio nella sua villa; un nascondiglio che aveva visto a Platì e che aveva voluto replicare in Lombardia. Dietro le sbarre, ha deciso di parlare. E ha iniziato a fare anche nomi di poliziotti finiti dalla parte dei criminali, tra cui l’ex sovrintendente Roberto D’Agnano (poi condannato a 10 anni), a cui, è emerso nell’indagine, versava fino a mille euro al mese e dosi di cocaina in cambio di soffiate. Contro Laurence Rossi-collaboratore di giustizia erano comparse scritte sui muri del quartiere: "Doppiogiochista", insulti, parolacce. Con la droga addosso, è come se il figlio volesse togliersi quell’onta.