Chi sono i Fidanzati, clan "milanese". Il boss Stefano sarà l'erede di Messina Denaro?

Le tonnellate di coca, le mani sulla movida e l’arresto di don Tano. Radiografia della famiglia i cui vertici puntano a "prendersi" Cosa Nostra

Il boss Tano Fidanzati dopo l’arresto del 2009 nel covo di via Marghera a Milano

Il boss Tano Fidanzati dopo l’arresto del 2009 nel covo di via Marghera a Milano

Milano - C’è anche il nome del settantenne Stefano Fidanzati nell’elenco dei padrini che aspirano a sedersi sulla poltrona di super boss di Cosa Nostra lasciata vacante da Matteo Messina Denaro, arrestato due giorni fa dai carabinieri del Ros di Palermo. Ed è proprio nel capoluogo siciliano, tra le strade dei porti turistici dell’Arenella e dell’Acquasanta, che il clan guidato fino a dieci anni fa dal fratello Gaetano (scomparso nel 2013 all’età di 78 anni) ha le sue radici.

Una famiglia di mafia legata a doppio filo a Milano, di cui negli anni Settanta hanno saturato le piazze di spaccio con le tonnellate di eroina e cocaina in arrivo dal Sudamerica. Proprio qui, il 5 dicembre 2009, fu arrestato don Tano: gli agenti della Squadra mobile lo bloccarono in via Marghera con il cognato Salvatore Cangelosi prima dell’incontro programmato con Domenico Papagna, probabilmente per discutere di un prestito. Si era rifugiato all’ombra della Madonnina per sfuggire a due ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa e omicidio emesse dal Tribunale di Palermo.

Del resto, don Tano era di casa in Lombardia, dove ha reinvestito buona parte dei soldi incassati con il narcotraffico. Secondo un’indagine del 2012 dei magistrati della Dda Ester Nocera e Giovanni Narbone, tre locali della movida meneghina e un ristorante a metà strada tra l’Arco della Pace e Chinatown erano finiti nelle mani di uno dei figli del capostipite, Guglielmo, che le controllava in maniera occulta attraverso 14 società intestate a prestanome.

Arrestato nell’ambito di un’altra indagine, quella del pm Marcello Musso su una partita di nove chili di coca acquistata con elementi della criminalità calabrese ed ex jugoslava, era finito nel mirino degli accertamenti degli specialisti della Guardia di Finanza, che avevano scoperto che i collaboratori incensurati, i cosiddetti "discepoli", erano solo i gestori di facciata di bar e discoteche, in realtà veicoli del "capo" per riciclare i proventi dello smercio di droga nell’economia legale.

Nel 2013, ecco un’altra ordinanza, a valle di un’operazione dei carabinieri che smantellò un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti: al centro di tutto, ancora una volta, c’era Guglielmo, ritenuto il deus ex machina di un gruppo di tipo "paramilitare", strutturato gerarchicamente e con compiti ben precisi sia nella distribuzione dei carichi di hashish e cocaina sia nella gestione finanziaria dei proventi, "compresi quelli di svariate rapine in banca".

A proposito di rapine, il nome di Fidanzati junior finirà pure nella lista degli uomini d’oro che organizzarono il blitz da 5 milioni di euro alla gioielleria Scavia di via della Spiga, andato in scena la mattina del 5 febbraio 2011. Tutti reati, questi ultimi, azzerati nelle aule di Tribunale dalla morte di Guglielmo, avvenuta il 16 gennaio 2014 all’ospedale di Vigevano dopo un mese di ricovero per una patologia incurabile. Ora quel cognome, Fidanzati, ha ricominciato a circolare con insistenza nei discorsi sul futuro prossimo di Cosa Nostra. E il legame del clan con Milano non può che tornare di stretta attualità.

 

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