
Alfredo Genovese gestore del chiosco Ducale
Milano, 14 agosto 2017 - Rimane sempre aperto, coi suoi orari «ballerini» dalla mattina a notte inoltrata, il chiosco Ducale di piazza Napoli. Persino a Ferragosto, ma fino a mezzanotte. «È il più antico della città, risale al secondo dopoguerra» assicura Alfredo Genovese, gestore dal 1994, 54enne, da sempre a Milano ma con «dna meravigliosamente napoletano», Alfredo è un barista-filosofo, come nel miglior cinema americano. Con stoicismo ha affrontato l’ultima disavventura: venerdì notte ignoti hanno sfondato la vetrata per sottrarre qualche banconota e un vecchio laptop. La cosa non pare turbarlo più di tanto. Forse

Ce la può spiegare?
«L’ho realizzata negli anni ’90, in tempi non sospetti. Trasuda in realtà ottimismo, se si è in grado di guardare oltre l’apparenza. Il messaggio è che l’uomo, con la sua manualità e creatività, è così grande che nessuna tecnologia può sottometterlo. Venti anni fa ne ero convinto, adesso non più: abbiamo delegato al computer anche il pensiero. Mi preoccupa che le nuove generazioni si formino un’idea non su un libro ma consultando per qualche secondo Wikipedia. I concetti sono diventati microfile dentro la testa. Hanno vinto la «mela» e Steve Jobs, altro che le matite…».
Che ha fatto prima di diventare barista?
«Mille lavori. Ho iniziato come sguattero in un bar. Poi ho lavorato in un noto istituto di bellezza di Montenapoleone. Mi ero sistemato in un’azienda di ricambi d’auto a Sesto San Giovanni che un giorno fallì. Così decisi di prendere il posto di mio padre in questo chiosco che aveva rilevato qualche anno prima. Ho imparato improvvisando…».
Come si è modificato il comparto?
«Potrei dire che negli anni ’90 si andava nei locali tutte le sere o che trovare un parcheggio nello spiazzo, dove adesso c’è la corsia per il filobus, era facile. Ma la vera considerazione è un’altra. Il commercio ha subito una battuta d’arresto dopo l’11 settembre. L’attentato alle Torri Gemelle cambiò le persone «dentro». Ha ucciso il mito della nostra invincibilità, la nostra spensieratezza. La crisi per l’Occidente iniziò nel 2001, non nel 2008».
Come è cambiata piazza Napoli?
«Tanto e non mi riferisco al progetto di riqualificazione di 10 anni fa. Prima era una periferia orgogliosa di esserlo. Adesso si identifica con l’elegante zona Washington. Ma è solo una mistificazione verbale, per compiacere certa gente superficiale».
Ce l’ha con il fashion system?
«Ce l’ho solo con chi si esibisce e vive di apparenza. Ma guai a toccare i veri signori. Giorgio Armani è un re. Un simbolo, come Bernardo Caprotti, Silvio Berlusconi, la famiglia Moratti».
Come giudica la metropoli?
«Mi considero un eletto perché ho la fortuna di viverci. Questa è l’unica città in Italia meritocratica: se sei capace, è impossibile morire di fame. I servizi funzionano bene. E non importa se sia bravo o no chi la amministri. Milano conserva, dentro di sé, l’energia per risorgere sempre».