Case popolari, la denuncia dei sindacati: "C'è una soglia contro i poveri"

Sindacati uniti contro il nuovo regolamento: per chi ha un Isee inferiore a 3mila euro a disposizione solo il 20% degli alloggi disponibili

La protesta

La protesta

Milano, 28 febbraio 2019 - Sindacati uniti contro il nuovo regolamento delle assegnazioni delle case popolari che la Giunta regionale licenzierà settimana prossima, salvo sorprese. Oggi dalle 16 si terrà un presidio di protesta davanti al Pirellone, ieri sono state esposte le ragioni del malcontento. Cgil, Cisl, Uil, Sunia, Sicet, Uniat, Unione Inquilini e Conia: il fronte è compatto.

I punti contestati sono soprattutto tre. Il primo: per effetto della legge regionale del 2016, della quale è diretta emanazione, il nuovo regolamento pone un tetto al numero di alloggi popolari che possono essere assegnati alle famiglie che hanno un reddito Isee inferiore ai 3mila euro. Sì, proprio così: i più poveri possono accedere alle case pubbliche solo in una certa misura, solo fino al 20% degli alloggi di volta in volta messi a bando. «In questo modo – concordano i rappresentanti delle sigle sindacali – si rinnega la finalità stessa dell’edilizia pubblica e si crea una situazione paradossale: chi ha più bisogno, ha meno diritto alla casa popolare». Per rivedere questo punto bisogna riformare prima di tutto la legge regionale. Per apportarvi modifiche è stato istituito un gruppo di lavoro composto da consiglieri regionali di maggioranza e di opposizione. A quanto pare, il tetto del 20% è stato fissato per aiutare il Bilancio di Aler. Così si limita infatti il numero di inquilini che pagherebbero poco o nulla di affitto.

Secondo motivo della protesta: il regolamento pone il requisito minimo dei 5 anni di residenza in Lombardia perché si possa far richiesta di un alloggio popolare. A questo si aggiunge il periodo di residenza nel Comune in cui si trova l’alloggio per il quale si fa domanda. E, non ultimo, ci si può candidare solo per alloggi che si trovino nel Comune nel quale si risiede. «Il risultato – sottolineano ad una sola voce i sindacati – è che il criterio della residenza diventa preponderante sul criterio dello stato di bisogno in cui versa la famiglia che chiede un alloggio. La sola residenza può pesare per più del 40% nell’ambito del punteggio complessivo». Da qui si arriva a quella che secondo i sindacati è un’ulteriore criticità del provvedimento che la Regione ha in animo di approvare: la sparizione delle graduatorie. Ogni cittadino può scegliere un massimo di 5 alloggi per i quali presentare domanda. Ne consegue che la graduatoria non sarà più generale ma riferita ai singoli appartamenti e cesserà di esistere una volta concluso l’iter di assegnazione.

Quindi il terzo motivo di contrarietà dei sindacati: il regolamento divide in precise categorie sociali (quali “anziani” e “disabili”) la platea di quanti fanno domanda di una casa popolare. E per ogni categoria fissa una percentuale massima di alloggi che possono esserle assegnati. Da qui originano due rischi, secondo i sindacati: il primo è quello di escludere alcune tipologie di famiglie dalla possibilità di avere un appartamento dell’edilizia pubblica perché non rientranti in alcuna delle categorie individuate, il secondo è che il criterio dello stato di bisogno passi di nuovo in secondo piano per via di una suddivisione degli alloggi pensata, appunto, per categorie. Oltre alle contestazioni, un’incognita: il reddito di cittadinanza. I sindacati chiedono di valutare l’impatto della misura sul welfare esistente.

 

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