
Calciatore africano
Milano, 8 febbraio 2020 - La palla... promessa rotola veloce e va rincorsa per chilometri e chilometri, passando per l’Africa e il Mediterraneo in direzione di Italia, Belgio, Francia e Olanda. Non è facile acchiapparla per le migliaia di giovani ragazzi extracomunitari vittime della tratta degli “invisibili“, quelli che ogni anno approdano in Europa, attratti dall’illusione di poter firmare contratti con squadre importanti. Ci sono “avventure“ che in pochi giorni si trasformano in un incubo infernale, con ragazzi che finiscono per vivere di stenti per le strade di Parigi o vagabondando a Villa Lumiere. Ma per fortuna ci sono pure favole a lieto fine in una grande metropoli come Milano, grazie alla Casa della Carità che spesso ha ospitato aspiranti calciatori fra le centinaia di giovani migranti in difficoltà.
È la storia di Mouhameth El Bachir Diop, per tutti Momo, senegalese arrivato in Italia minorenne, nel 2013, con un solo grande sogno nel borsone: poter sfondare nel calcio che conta. Il ragazzone aveva pagato la “tassa“ ad un intermediario conosciuto a Dakar in una di quelle selezioni che si svolgono nel mese di giugno, con giovani calciatori mandati dalle accademie di molte nazioni africane attirando talent scout ma anche falsi agenti senza scrupoli. Lì Momo viene notato e convinto a trasferirsi in Italia. Bisogna pagare 500 dollari (neppure tanto rispetto a quelle che sono le abituali richieste) ma almeno non si rischia la vita perché si parte in aereo e l’arrivo è sicuro. Il resto è tutto da conquistare: provini e contratto. E infatti da subito il desiderio di Momo, che di ruolo fa il portiere, si trasforma in un incubo. Dopo un periodo di allenamenti con le giovanili del Catania agli ordini dell’esperto Manitta, deve cambiare aria, perché gli etnei non possono tesserarlo. Suo malgrado Momo comincia una lunga peregrinazione in giro per la penisola.
Viaggiando di rinnovo in rinnovo del permesso trimestrale di soggiorno in Italia, il giovane senegalese non può pretendere nulla di più perché non ha un lavoro. E ogni rinnovo è una scommessa. Va al Manfredonia in serie D, poi si sposta a Terracina e Latina. Finché può (e gli conviene) il suo “procuratore“ lo ospita e gli dà da mangiare, ma dopo un anno e mezzo la speranza di Momo si dissolve e il suo agente sparisce, perché senza contratto non può avere percentuale dell’ingaggio. Sono i giorni più difficili per il giovane portiere, che dal Lazio si sposta in Lombardia. Trova ospitalità provvisoria a casa di un conoscente, a Baranzate, ma dopo due giorni finisce a dormire su una panchina del piccolo comune alle porte di Milano. A 4000 e oltre chilometri da casa, senza soldi e senza amici, Momo non perde la speranza.
Arriva a Milano, girovaga per la stazione, finché incontra la persona che gli dà il consiglio giusto: vai alla Casa della Carità. È la svolta. Vicino al Naviglio della Martesana il senegalese trova prima un tetto e poi realizza il suo sogno. In quella struttura c’erano altri due aspiranti calciatori arrivati col barcone, Momo è più fortunato: un operatore lo segnala all’Alcione, storica società dilettantistica milanese con un bel centro sportivo vicino San Siro. «Quel ragazzo è proprio in gamba», dicono i dirigenti che lo ammirano durante gli allenamenti. Poi, appena si completa l’iter per il permesso di soggiorno, Momo esordisce nell’autunno del 2016 in Promozione. Certo, non è la serie A ma qualche soldino e qualche applauso riesci a strapparlo, quanto basta per sentirsi un giocatore. Poi sale in Eccellenza, altre soddisfazioni. Momo è un riferimento per la società del presidente Marcello Montini. Tre campionati non sono pochi. «Seguiva anche i più giovani, un ragazzo volenteroso. Io gli davo un rimborso spese, qualche centinaio di euro...». Lo scorso anno, il dirigente Angeleri fa a Momo il regalo più bello e inatteso: un vero posto di lavoro, regolarmente assunto da una società che si occupa di security. «E’ impegnato dieci ore al giorno, non può conciliare il calcio con la nuova attività. Ma prima o poi tornerà da noi a giocare, ne sono sicuro». Per ora Momo ha vinto la partita più grande, quella della sopravvivenza.