Bimbo ucciso dal padre: un massacro, Mehmed ammazzato a pugni

I primi esiti dell’autopsia lo confermano, si indaga su altre responsabilità

Aljica Hrustic con il figlio

Aljica Hrustic con il figlio

Milano, 29 maggio 2019 - Massacrato di botte. Calci e pugni che gli hanno provocato uno spappolamento degli organi interni e gravissime emorragie. Calci e pugni dati con forza brutale, fino a vederlo cadere a terra, poi non respirare più. E ancora torture, che perduravano da tempo, come le scottature provocate con l’accendino passato sotto i piedini del piccolo per far sì che non camminasse, che restasse fermo, troppo vivace, «rompeva», andava punito.

Il quadro che emerge da un primo esito dell’autopsia su Mehmed Hrustic, due anni e cinque mesi, ucciso nella sua casa dal padre, lascia senza fiato. È diffiicile persino da immaginare che cosa possa avere sofferto quel piccolo, altrettanto difficile immaginare come un genitore possa essere così malvagio da compiere un atto simile. Colpevole di tutto è Aljica Hrustic, 25 anni di origini croate, proprio quel ragazzo che su Facebook si faceva fotografare con in braccio il piccolo Mehmed. Baci e abbracci ai suoi quattro figli, un quinto in arrivo. Gesti vuoti, crudeli e perfino beffardi. Bella vita lui, macchine, cocaina da sniffare, abiti con le griffe e niente a loro. Poco da mangiare, quasi mai comperava i pannolini per i suoi figli che abitavano con la madre e lui in una casa occupata in via Ricciarelli, zona San Siro. Nell’interrogatorio in cui ha confessato il delitto diceva, ostentando fermezza: «Non mi lasciava dormire, si lamentava e così mi sono alzato sono andato verso di lui... l’ho preso a pugni...si forse gli ho dato anche dei calci. Ho sentito che rantolava, ma non pensavo che quando sono uscito per sfogarmi in auto, lui era morto».

Si lamentava dice il padre, e pensare che era stato proprio lui qualche giorno prima a bruciargli i piedi con l’accendino. Per quello quando la polizia è arrivata ha trovato il corpo del bimbo martoriato, con i piedini avvolti nelle garze. Era stato un tentativo da parte della madre di alleviare i dolori e forse anche di coprire le ustioni. La madre: tutto l’inferno, urla, torture avveniva sotto gli occhi di lei, incapace di reagire. «Avevo paura perché picchiava anche me», ha detto agli inquirenti, ma non l’aveva mai voluto denunciare, non voleva perderlo. E così il piccolo Mehmed, che tutti descrivevano come un angelo biondo, non lo ha aiutato nessuno. Non la madre che «ha lasciato fare» perché era succube, impaurita. E non i vicini di casa che hanno visto e sentito quello che succedeva, ogni giorno. Ma anche loro, occupanti abusivi e disperati, non hanno voluto denunciare, hanno preferito non vedere e non sentire, per poi organizzare dopo una inutile ficcolata dimostrativa, inutile come i messaggi d’amore su Facebook del padre. Una fiaccolata, l’ennesima beffa, alla quale in molti non hanno poi avuto il coraggio di partecipare. Mahmed è morto, il padre è in carcere, ma le indagini non sono finite perché le responsabilità degli adulti, per la procura, non sono finite qui.

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