Milano: super intelligenti, ma la scuola non sa gestirli

Luca a casa da marzo perché "aggressivo", Sara plusdotata ma "disturba". Le storie incrociate di due bimbi di seconda in cerca di un’aula

Ingresso a scuola (Archivio)

Ingresso a scuola (Archivio)

Milano - "Non riusciamo più a tenerlo in classe: venga a prendere subito suo figlio": stessa chiamata, tre volte alla settimana. E a volte il telefono squillava alle 9.30. Luca, nome di fantasia, frequenta la seconda elementare in una scuola del centro, ma è a casa dall’11 marzo. Quoziente intellettivo superiore alla media, difficoltà relazionali, con atteggiamenti sfidanti e a volte aggressivi nei confronti di insegnanti e compagni e manifestazioni di rabbia. La mamma lo sa: "Abbiamo cercato subito di essere collaborativi con la scuola, abbiamo concordato prima una contrazione oraria, che è stata ulteriormente ridotta, abbiamo chiesto aiuto": ripercorre gli ultimi due anni di scuola, fino alla diagnosi all’Uonpia: è un bimbo intelligentissimo, ma ha anche un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Adhd). "L’insegnante di sostegno è arrivato solo a gennaio, è durato 10 giorni e si è arreso – scuote la testa la mamma –, abbiamo scoperto che Luca non entrava più in aula con i compagni solo per caso, un giorno è stato “accudito“ da un prof del liceo. E la sua rabbia cresceva e cresceva".

Un circolo vizioso: il rapporto scuola-famiglia ormai incrinato, gli altri genitori in allarme, il desiderio di voltare pagina. "Mi hanno consigliato l’educazione parentale perché a scuola non avevano le “risorse“ giuste per lui – dice la mamma –, non sapevo neppure cosa fosse. E poi hanno detto che ero stata io ad averne fatto richiesta. Come parlare di inclusione e scaricare tutta la responsabilità alle famiglie... Io capisco la situazione, altri genitori si erano lamentati dei comportamenti di mio figlio, avanzando tesi strampalate su quanto succedeva a casa, dove nessuno è stato mai violento. Anche davanti alla diagnosi la resa. E quindi sì, Luca ha bisogno di un ambiente diverso. Peccato che la 'fama' lo preceda: so che il posto per lui ci sarebbe in una scuola vicino a casa, la classe della sua età è piccola, non ci sono altri bimbi con disabilità...". Ma porte finora chiuse, Luca resta a casa. I genitori nel frattempo hanno scritto all’ufficio scolastico territoriale, chiedendo un educatore e la possibilità di iscriverlo altrove.

"Stiamo occupandoci del caso specifico – spiega il provveditore Yuri Coppi –, quando arriva la segnalazione da genitori o avvocati facciamo prima in modo di ristabilire il dialogo scuola-famiglia. L’ufficio fa da mediazione, ricostruisce la situazione da entrambi i punti di vista e manda la mail alla famiglia con quanto trasmesso dalla scuola. Abbiamo ricevuto la risposta della famiglia e stiamo cercando una soluzione possibile. Il cambio scuola non è sempre facile, alcune sono più accoglienti e strutturate di altre, spesso ci sono altre disabilità o bisogni specifici a cui far fronte. Le richieste di certificazioni e conseguentemente di insegnanti di sostegno continuano ad aumentare, siamo arrivati a oltre 18mila quest’anno, come pure le diagnosi di una certa gravità". E in questo scenario, nonostante le assegnazioni anche in corso d’anno, il numero di richieste supera di gran lunga il numero di docenti specializzati. Due insegnanti di sostegno su tre a Milano sono precari. E c’è un tema - quello dei bimbi plusdotati - che coglie sempre di più le scuole impreparate. Anche quando gli insegnanti di sostegno non sono necessari ma serve un “piano educativo personalizzato“. È il caso di Sara (anche questo nome di fantasia): anche lei in seconda elementare, in una scuola a due chilometri di distanza da quella di Luca. A novembre la scoperta: ha un QI di 137. Geniale, complicato da gestire.

"Ce ne siamo accorti perché non stava ferma in classe, disturbava, manifestava comportamenti oppositivi – spiega la mamma –, è stata valutata da un team di neuropsichiatri. La scuola non voleva accettare la certificazione anche se il centro privato era accreditato. Volevano la rifacessimo, in modo che chiedessimo l’insegnante di sostegno per il suo 'comportamento inadeguato'. Anche davanti all’evidenza, non si scostavano da quell’etichetta e finiva nella ’panchina dei cattivi’". Il clima si è scaldato settimana dopo settimana. Più di una volta - nemmeno velatamente - le hanno detto che era meglio per tutti che cambiasse scuola. E Sara lo ha capito: quel Q.I, oltre a potenziare le emozioni, fa anche percepire il non detto. Si sente non accettata. Firmare il piano educativo è stato un’odissea: il terapeuta non poteva entrare a scuola nell’incontro genitori-preside, il piano non poteva uscire. E anche Sara in classe non ci vuole entrare più e cerca un nuovo banco. "Sono arrivata al punto di non scrivere più nella prima mail, con la richiesta di iscrizione, che mia figlia sia plusdotata – chiude la mamma –. Una parola che 'spaventa'. Vorrei restasse nella scuola pubblica ma sto bussando altrove".

 

 

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