Bambino in comunità 8 anni, giudici: "Torni dalla madre, non adottabile per un equivoco"

La mamma, cinese che non parlava italiano, era convinta che quel posto fosse "un asilo di Stato", come nel suo Paese

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Milano, 30 agosto 2018 - Un equivoco accaduto otto anni fa, ma che ora pare essere risolto. Aveva deciso di lasciare il suo bambino, che aveva quasi tre anni, in una comunità, dopo essersi rivolta ai servizi sociali, spiegando che "doveva cercare lavoro per poter saldare un debito". Lei, cinese da poco in Italia e che non parlava italiano, era andata incontro, però, ad un "tragico equivoco" perché era convinta che quel posto fosse "un asilo di Stato", come ci sono nel suo Paese. È partito, invece, il procedimento di affidamento che avrebbe potuto portare all'adozione, bloccata ora dal Tribunale per i minorenni di Milano che ha deciso che, gradualmente, il bambino dovrà tornare, invece, dalla madre.

I giudici (presidente Elly Marino), accogliendo le istanze dalla donna, assistita dall'avvocato Francesco Miraglia, e che in questi anni andava sempre a trovare il figlio in comunità, hanno stabilito che l'ente affidatario dovrà favorire il "graduale e progressivo recupero dei rapporti tra madre e figlio", affinché si arrivi "all'auspicato trasferimento" a casa della mamma, che intanto si è sposata con un italiano.

Anche una relazione dei periti, come scrivono i giudici nella sentenza, "dà atto del 'tragico equivoco' cui incorre la madre in Italia, convinta che la comunità dove era stata collocata con il figlio svolgesse la funzione di 'asilo di Stato' analogamente a quanto accade in Cina". Forte di tale convinzione, si legge ancora nel provvedimento, la signora nel dicembre del 2010 (il piccolo è nato nel 2008) decise di "lasciare il figlio da solo in comunità per andare a cercare lavoro, senza comprendere la reale portata di tale decisione e il significato che in Italia sarebbe stato attribuito a tale condotta". La donna, tra l'altro, spiegano i giudici, "racconterà di non essere stata aiutata a capire quanto accadeva da nessuno e di non avere ricevuto alcuna spiegazione dagli assistenti sociali né dagli operatori". I giudici segnalano anche che la "barriera linguistica" e "culturale" della donna in questi anni non si è comunque attenuata e che i suoi rapporti con la comunità non sono mai stati buoni.

Tuttavia, "quello che qua conta", spiega il Tribunale, è che lei "non ha mai abbandonato e mai ha inteso abbandonare il figlio". I giudici, quindi, hanno bloccato l'adottabilità e confermato per ora l'affidamento del bimbo all'ente territoriale, ma ciò affinché si arrivi, anche con "l'ampliamento degli incontri" bimbo-madre, al "distacco" del bambino, che ora ha 10 anni, dalla famiglia affidataria e al "passaggio" in quella materna. L'avvocato Miraglia, intanto, ha anche presentato un'istanza alla Procura dei minorenni di Milano per fare chiarezza sulla vicenda, anche perché il bimbo ha vissuto, chiarisce il legale, "in una comunità formata da famiglie imparentate tra loro e crede di avere venti fratelli".

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