
L'arrivo della piccola Mayar
Milano, 24 febbraio 2016 - Dalle macerie di Aleppo all’ospedale italiano. Ce l’ha fatta Mayar, la bimba siriana di 6 anni colpita da una gravissima patologia epatica (la glicogenesi, 28 casi al mondo), che le lasciava poche settimane di vita. Il 2 novembre Mayar, che dorme seduta per evitare crisi respiratorie, era giunta in Italia grazie a una complessa operazione umanitaria e diplomatica, attivata sulla linea Milano-Torino dal Giorno, che si era poi avvalso in loco della preziosa e decisiva collaborazione della Stampa.
La bimba, che ai primi di marzo sarà inserita nella lista nazionale trapianti, in attesa di un fegato nuovo, è seguita dall’équipe del dottor Roberto Calvo, all’ospedale Regina Margherita di Torino. Ma non è tutto. Ora va a in prima elementare e ha una casa ad uso gratuito, grazie all’associazione «Dimore di San Giovanni» e alla generosità del suo presidente, Giovanni Piccolis. Nelle scorse settimane, l’abitazione di famiglia ad Aleppo, in cui vivevano anche i nonni (incolumi) è stata distrutta da un bombardamento. Nella nuova dimora italiana oggi vivono con lei il padre Ghassan, che in patria faceva l’elettrauto e qui attende lo status dalla Prefettura per cercarsi un lavoro, mamma Douina e i fratelli Mohammed e Majid.
A lanciare per prima l’appello era stata una onlus milanese («Il Cuore in Siria»), innescando così un team di soggetti che aveva messo in campo la struttura sanitaria volontari, associazioni, uomini della comunicazione e amministratori pubblici. Scampata al lutto e alle bombe, la famiglia si sta inserendo nel contesto italiano, mentre Mayar e Mohammed (iscritto alle terza) frequentano la scuola con buon risultato. Il fratellino più piccolo fatica ancora a riprendersi, spiega Claudia Ceniti, presidente de «Il Cuore in Siria», perché ancora risente della situazione di guerra in cui è vissuto dalla nascita. Anche i genitori Dunia e Ghassan si avviano a frequentare un corso di italiano che servirà soprattutto al capofamiglia per inserirsi nel mondo del lavoro e avviare un completo percorso di integrazione.
La onlus «Il Cuore in Siria», che ha finora inviato sette ambulanze e svariati container di viveri e medicinali alla popolazione siriana, continua intanto ad operare sui progetti di aiuto sia sul confine turco-siriano e all’interno del Paese in guerra, con continue consegne di pacchi alimentari a famiglie profughe, specie quelle che vivono nella provincia di Idlib (dove è stato bombardato il 14 febbraio anche un ospedale di Msf, con 23 vittime) in condizioni disperate. «Nei giorni scorsi - ricorda Claudia Ceniti - è stata inviata la settima ambulanza carica di farmaci e grazie alla collaborazione continua con aziende farmaceutiche riusciamo a fornire quantità di farmaci importanti. Una delle nostre ambulanze è ora diventata un centro medico mobile che copre una buona superficie intorno ad Aleppo». E gli altri bambini? «Pensando che una situazione come quella di Mayar non fosse replicabile, abbiamo pensato di aiutare gli orfani che si trovano a Reyanli, con una formula di sostegno a distanza. Il progetto è partito con 10 bambini e relativi sostenitori. In questa attività saremo supportati dalla scuole locali, che già seguiamo da 2 anni». La situazione sul confine, rimarca Claudia, peggiora di giorno in giorno. «Si dovrebbe fare molto di più, noi abbiamo deciso di concentrarci sugli orfani con storie dolorose alle spalle. Almeno 2 volte all’anno saremo personalmente sul posto per monitorare la situazione».
Ancora una volta, è la tesi, l’attenzione su ciò che succede in Siria sta purtroppo scemando. Non bisogna dimenticare che chi è rimasto in territorio siriano continua a morire di bombe, ma soprattutto di fame. Solo a gennaio sono annegati nell’Egeo 50 bambini e ci chiediamo ancora perché questi genitori mettono i propri figli sui barconi, per non parlare dei minori soli spariti nel nulla». La vicenda di Mayar era iniziata il 10 ottobre quando Claudia Ceniti aveva diffuso sul web una lettera dell’elettrauto siriano. Di fatto l’appello disperato di un padre, che viveva con moglie e tre figli nella zona devastata di Aleppo. «Ogni volta che vedo mia figlia soffrire senza poter far nulla - aveva concluso - muoio anch’io pian piano con lei». Sotto la spada di Damocle di un cronometro, che aveva innescato il conto alla rovescia per salvare la vita di Mayar, l’impresa era parsa subito ai limiti del possibile. Per completare il mosaico, occorreva riunire tasselli improbabili.Il primo: trovare un ospedale italiano disposto ad effettuare al volo un trapianto, visto che i genitori si dicevano pronti alla donazione. Il secondo: far emettere dal Ministero i cinque visti per motivi di salute. Il terzo: far uscire la famiglia, da Korkaya, nella provincia di Idlib, doveva aveva trovato rifugio in fuga da Aleppo, sino al posto di frontiera di Babalwa. Sessanta chilometri irti di predoni, mine e combattenti, con l’incognita del permesso di espatrio che le guardie turche (visti i rapporti tra i due Paesi) avrebbero potuto negare. Poi portarla a Istanbul, altri mille, non certo su autostrada, durissimi per una bimba in quelle condizioni. Quarto: coprire le spese dell’intervento, oltre 100mila euro, e quelle di sussistenza familiare per un anno, almeno 20mila. Quinto: assistere il nucleo in Italia, visto che nessuno parlava inglese.
Ma da quel momento si era scatenata la gara di solidarietà sul web. L’ospedale Regina Margherita aveva raccolto l’appello e si era detto pronto a inserire la piccola nella lista nazionale dei trapianti pediatrici. La Regione Piemonte aveva sbloccato un fondo di emergenza, destinato alle cure sanitarie dei profughi. Per statuto serviva però una onlus piemontese. Così il Cuore in Siria (che non ha un sito web, ma una pagina facebook) si era appoggiato ad «Ability Amo» di Torino. A quel punto erano arrivati anche dei contributi. Un anonimo benefattore parmense aveva bonificato 20 mila euro. Un anziano con la pensione di invalidità 90, quasi scusandosi. Il Ministero non solo aveva sbloccato i visti, ma anche azionato il consolato a Istanbul, che aveva offerto il supporto necessario. La Turkish Airlines aveva donato i voli. Una volontaria siriana in Italia si era offerta come interprete. La famiglia era partita da Aleppo sabato 31 ottobre. In qualche modo, aveva oltrepassato la frontiera. Lunedì 2 novembre, alle 10.30, scortata da Claudia, era atterrata a Torino e la piccola era stata affidata alle cure del dottor Calvo e del professor Mauro Salizzoni. L’incubo era finito, poteva cominciare il sogno di una vita normale.