Imprenditore arrestato: ragazza tenuta al guinzaglio, drogata e stuprata per 20 ore

La ricostruzione degli investigatori. "La ragazza non dava alcun segno di vita, ma Genovese continuava"

Alberto Genovese 43 anni

Alberto Genovese 43 anni

Milano, 10 novembre 2020 - Anche dopo aver smaltito la sbornia da eccesso di cocaina, ancora una volta Alberto Genovese, 43enne ex bocconiano e mago delle start up, che nella sua brillante carriera di imprenditore digitale aveva fondato "Facile.it", (rivenduta per 100 milioni di euro nel 2014) non ha mostrato alcun segno di ravvedimento, alcun senso di pietà nei confronti di quella diciottenne, aspirante modella, conosciuta in casa sua e stuprata per almeno venti ore tra il 10 e l’11 ottobre mentre la teneva al guinzaglio legata con la cravatta al letto con mani e piedi incatenati. "Non è colpa mia", è stato solo capace di dire davanti al gip Tommaso Perna che convalidava l’arresto con le accuse di violenza sessuale aggravata, sequestro di persona, spaccio di cocaina e lesioni gravissime.

«È stata la droga, sono vittima". Tutto qui, semplice per lui. La sua vittima ricoverata alla clinica Mangiagalli ne ha avuto per 25 giorni almeno fisicamente, poi ci sono le conseguenze psicologiche. In un altro delirio di onnipotenza, pensando di farla franca anche stavolta (la lista delle denunce potrebbe presto essere molto lunga), Genovese ha pensato solo a come organizzare la fuga con il suo jet privato. Al momento della convalida non ha voluto rispondere ad alcuna domanda, solo fare dichiarazioni spontanee "inutili", scrive il gip, e persino in grado di aggravare una realtà già spietata. Queste le sue dichiarazioni spontanee: "Sono vittima della droga, è stata una spirale che mi ha messo sempre più in difficoltà".

E ancora: "Ogni volta che mi drogo ho allucinazioni e faccio casino, faccio cose di cui non ho il controllo, spero di non aver fatto cose illegali.....sono una persona a posto che non farebbe mai nulla di male. Voi avete scavato solo nella parte cattiva della mia vita ma per il resto sono una brava persona… Non voglio drogarmi, se non mi drogo non faccio nulla di male, non l’ho mai fatto. Quando mi drogo non mi controllo". E alla fine: "Io pensavo di essere innamorato". Genovese ha mostrato arroganza pure al momento in cui gli agenti della Squadra mobile hanno bussato alla sua porta. Non voleva aprire, ha citato il "non sapete chi sono io", ha fatto la voce grossa, ha chiamato il suo avvocato e solo dopo ha consentito agli agenti di entrare. Tanta scema, poi non aveva nemmeno nascosto le prove dello stupro: i vestiti della ragazza, ad esempio, erano ancora lì, insaguinati, perché lui le aveva impedito di prenderli quando era fuggita, coperta solo di un lenzuolo e con ai piedi una scarpa sola.

Le manette nel cassetto. Le lenzuola con grandi macchie di sangue. E poi le telecamere con i filmati che i poliziotti guidati dal dirigente Marco Calì, nonostante l’esperienza di anni, hanno faticato a vedere: mai avevano assistito a tanta ferocia e a tanto accanimento su una povera ragazza drogata e poi violentata e poi di nuovo drogata e ancora violentata in una specie di ossessione. Fino al punto che "il corpo della giovane aveva assunto – si legge nelle carte – una posizione innaturale per poi irrigidirsi. Solo allora Genovese va a lavarsi, poi torna con un lenzuolo insanguinato e tenta di pulire il corpo della ragazza. Poi si droga di nuovo e di nuovo droga lei. Poi ricomincia. La ragazza per ore non dà quasi alcun segno di vita. Ma lui continua, in segno di disprezzo". A un certo punto, le preme un cuscino sul viso mentre la violenta e le stringe il collo, poi la filma mentre nuda, stremata dalle violenza, si lascia andare e le cade la testa all’indietro dal bordo del letto. "Il 43enne – scrive ancora il gip – sarebbe del tutto incapace di controllare i propri impulsi violenti e la propria aggressività sessuale, ed è quindi elevato il pericolo che la propensione a delinquere possa trovare ulteriore sfogo in altri fatti illeciti". Queste le motivazioni che fanno presumere che, "se rimesso in libertà o comunque in una situazione tale da dover volontariamente osservare le prescrizioni imposte, compirebbe certamente reati della stessa indole". Concreto anche il pericolo di fuga: "Il fermato aveva intenzione di recarsi in Sudafrica, così come da lui comunicato alla madre nel corso di una conversazione telefonica", sottolinea il giudicante, che avverte: "Date le notevoli disponibilità economiche dell’indagato, che possiede un jet privato è presumibile che, se venisse lasciato libero, si allontanerebbe senz’altro dall’Italia". C’è di più: "Viste le disponibilità economiche pressochè illimitate, sarebbe per lui facile tentare di esercitare la sua pressione sulle persone che devono essere ascoltate in un ipotetico prosieguo delle indagini o come testimoni in un processo al fine di indurle a ritrattare le dichiarazioni rese".  

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