Blitz contro le cosche, il boss riparte da Rho: "È tornata la legge". Ma ne arrestano 49

Gaetano Bandiera, fermato nel 2010, si fingeva disabile per evitare la cella. Affari, estorsioni, teste di maiale e quindici vittime: nessuno ha parlato

la sedia a rotelle con cui Gaetano Bandiera simulava problemi fisici

la sedia a rotelle con cui Gaetano Bandiera simulava problemi fisici

«È tornata la legge ... è tornata la ’ndrangheta". Gaetano Bandiera, 74 anni, affermava così, in una conversazione intercettata dagli investigatori della polizia, il suo “ritorno in campo“ dopo aver scontato la condanna definitiva a lui inflitta nello storico maxi-processo Infinito. Con il figlio Cristian era "l’indiscusso vertice della Locale di Rho", smantellata da un’inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano guidata dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci. Sono 49 le persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Stefania Donadeo, per accuse che vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, estorsioni, minacce, violenza privata, incendio, detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa. Un’indagine, quella della sezione Criminalità organizzata della Squadra mobile diretta dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Nicola Lelario, che ha dovuto pure superare "l’omertà assoluta" sul territorio: nessuna, fra le 15 vittime di estorsioni o minacce, ha sporto denuncia. Gaetano e Cristian Bandiera, ha spiegato il pm della Dda Alessandra Cerreti, "erano punti di riferimento sul territorio per la popolazione. La gente comune andava da loro per risolvere beghe di condominio, banali liti. E non siamo a Platì o a Rosarno, ma siamo in Lombardia".

Teste di maiale per intimidire le vittime

Intimidazioni con "metodi arcaici" come teste di maiale o capretto, riti di affiliazione, estorsioni, il controllo dello spaccio di droga e un fiume di denaro reinvestito acquistando appartamenti e locali gestiti attraverso prestanome. E i boss hanno pure incassato il reddito di cittadinanza. Cristian Bandiera, nel presentare la domanda nel luglio 2020, ha dichiarato infatti di non aver "prodotto alcun reddito". Un altro degli arrestati, Antonio Procopio, ha ottenuto inoltre mille euro come sussidio durante la pandemia per la sua impresa edile. Gaetano Bandiera, nonostante l’arresto nel 2010, non aveva mai lasciato le redini del clan. Per ottenere il beneficio del differimento pena si faceva accompagnare alle udienze davanti al Tribunale di Sorveglianza di Milano su una sedia a rotelle. "Mi devo portare la carrozzella, fare finta che sono sopra la carrozzella", affermava in una conversazione intercettata. In realtà, annotano gli inquirenti, non aveva "particolari problematiche o difficoltà nel camminare a piedi".

L'intercettazione: "Io sto infame gliela sparo"

Il figlio 46enne, Cristian, aveva scontato tra l’altro una condanna per aver ucciso a colpi di pistola, nel 2010, l’albanese Artin Avrani durante una rissa all’interno del pub “Il brigante“ di Rho. "Io sto infame gliela sparo (...) ve l’ammazzo davanti", minacciava un rivale per un debito di droga in una conversazione intercettata l’11 gennaio 2021. Fra gli arrestati anche Franco Moscato, condannato all’ergastolo per una delle stragi legate alle faide di mafia che hanno insanguinato la Sicilia: l’omicidio di Giovanni Domicoli, Serafino Incardona e Nunzio Scerra. Dal 29 gennaio 2021 era in libertà vigilata.

Ruoli operativi per le donne

E dalle indagini è emerso anche "il ruolo delle donne" nella ’ndrangheta: per la prima volta in un’inchiesta sui clan in Lombardia è venuto a galla "il ruolo operativo e organizzativo" di una donna, Caterina Giancotti, "braccio destro" di Cristian Bandiera. "Vuoi che divento cattiva ed io divento cattiva", garantiva la 45enne. Il suo arresto in flagranza, dopo l’acquisto di una partita di cocaina, aveva rischiato di far scoppiare una "faida" in Lombardia fra Bandiera e la famiglia Curinga. "Anche in questo caso il carcere, per coloro che appartengono all’organizzazione mafiosa, non porta a rescindere il legame con il clan", ha spiegato il prefetto Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia, che ha partecipato alla conferenza stampa sull’operazione convocata dal procuratore di Milano Marcello Viola. "Quando escono, anche dopo essere stati anche detenuti modello, ricominciano con più forza".

 

 

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