NICOLA PALMA
Cronaca

Missioni a -40°e notti sulla neve, l’alpino “inidoneo” diventa vittima del dovere

Il militare dichiarato non idoneo al servizio ad appena 40 anni. Sì dei giudici del Tribunale di Milano al riconoscimento del beneficio

L’ufficiale delle truppe alpine che ha ottenuto il riconoscimento di "vittima del dovere" ha partecipato a missioni in Norvegia, Danimarca e Siria

L’ufficiale delle truppe alpine che ha ottenuto il riconoscimento di "vittima del dovere" ha partecipato a missioni in Norvegia, Danimarca e Siria

Milano –  Le notti al gelo nell’estremo Nord del continente. Le temperature glaciali. Il pasto quotidiano limitato a qualche tubetto di latte condensato. Quei periodi di vita durissima, sia in Europa che in Medioriente, sono costati cari all’ufficiale delle truppe alpine G.A., che ad appena quarant’anni di età è stato dichiarato inidoneo al servizio. Per questo, il militare ha presentato l’istanza per essere riconosciuto come vittima del dovere e avere accesso a sussidi e benefici economici garantiti dallo Stato a chi perde la vita in attività di servizio o a chi, come in questo caso, ha contratto un’invalidità permanente nell’espletamento di una missione.

Una richiesta a cui il Ministero della Difesa si è opposto, ma che una settimana fa è stata accolta in via definitiva da una sentenza della Cassazione, che ha respinto l’ultimo ricorso del Governo (dichiarandolo inammissibile) e confermato quanto già stabilito dai giudici di Tribunale e Corte d’Appello di Milano. Stando a quanto emerge dalle motivazioni del verdetto, G.A. ha partecipato a missioni internazionali in Norvegia, Danimarca e Siria, in condizioni quasi proibitive: in un caso, ricordano gli ermellini, ha lavorato a -40°C, "al buio con turni di servizio all’esterno", pernottando "in tende impiantate direttamente sulla neve" e nutrendosi solo di "latte condensato". Condizioni che alla fine gli hanno provocato problemi fisici incompatibili con la sua professione, o quantomeno con quel modo di svolgere la sua professione. Da lì la richiesta di rientrare nell’elenco previsto dal comma 546 dell’articolo 1 della legge 266 del 2005: "Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 (le vittime del dovere, ndr ) coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti, o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative".

All’udienza in Cassazione, l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero della Difesa, ha contestato le conclusioni dei giudici d’appello, sostenendo che questi ultimi avrebbero "trascurato che la missione richiamata rientrava nelle mansioni ordinarie del militare, che era un ufficiale delle truppe alpine". Non basta: la Corte milanese avrebbe pure "omesso l’accertamento se la missione fosse speciale" e "se avesse esposto il lavoratore a un rischio maggiore rispetto all’attività svolta".

Gli ermellini sono partiti da una premessa, ricavata da precedenti pronunciamenti (anche a Sezioni unite) che hanno stabilito che le "particolari condizioni ambientali od operative" implicano "l’esistenza, o anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Quindi, "l’attribuzione della tutela per le vittime del dovere è, dunque, il risultato della valutazione operata dal giudice di merito di questo quid pluris rispetto alle condizioni ordinarie di lavoro". Una valutazione che, per la Suprema Corte, è stata effettuata in maniera corretta nei due gradi di merito, "evidenziando le particolari condizioni ambientali operative della missione". Conclusione: via libera al riconoscimento dello status e spese di lite da 3.500 euro a carico del Ministero della Difesa.