
Diego Favero
Milano - Lo ho accudito a distanza, come un padre. Diego Favero, 48 anni, è responsabile della stazione del soccorso alpino di Agordo (Belluno). È l’uomo che ha passato la notte fra venerdì e sabato a chiamare ogni venti minuti al cellulare Simone, alpinista milanese di 23 anni sopravvissuto rimanendo, da solo e al buio, in cima alla Torre Venezia, sul gruppo del monte Civetta.
Per le pessime condizioni atmosferiche il capostazione e la sua squadra di sette uomini sono riusciti a raggiungere in elicottero il giovane scalatore solo all’alba. Era in stato di choc. Prima delle 22 di venerdì aveva infatti assistito in diretta alla morte del suo compagno di cordata, Guido Di Carpegna Brivio, 27enne di Cesano Maderno precipitato mentre si preparava a scendere con lui con la tecnica della “corda doppia“ dalla Torre Venezia. La tragedia si sarebbe verificata perché un chiodo, utilizzato per scendere all’attacco delle doppie, si sarebbe staccato, non appena il ragazzo ha caricato il peso dopo essersi agganciato, facendolo cadere nel vuoto.
Quando è arrivato l’allarme?
"Noi come Soccorso alpino di Agordo siamo stati allertati poco dopo le 22. Per due volte abbiamo cercato di raggiungere il superstite, bloccato a 2.450 metri di quota, con l’elicottero ma la nebbia e la pioggia hanno impedito l’evacuazione fino all’alba. Ho cinque figli, da 3 a 26 anni. Pensavo a quel ragazzo che poteva essere uno di loro, lassù in cima da solo, dove aver assistito alla morte dell’amico. Il minimo che potessi fare era contattarlo al cellulare ogni 20 minuti per aggiornarlo su quanto si stava facendo e, soprattutto, cercare di dargli un po’ di sollievo e la certezza che nessuno lo aveva abbandonato. Un paio di volte mi ha anche chiamato lui".
Quale era il suo stato psicologico?
"Era sotto choc. Ha sentito il tonfo del compagno quando è precipitato. È stata una situazione delicata anche per noi, per me è stata la missione più complicata, sia per l’aspetto organizzativo che emotivo, fra le oltre 150 a cui ho partecipato in 25 anni di soccorso alpino. Non è la prima volta che un alpinista deve attendere l’alba per l’elicottero ma non mi era mai successo che dovesse consumare una lunga attesa dopo un dramma".
Dove si trovava il 23enne?
"Non era appeso alla parete con le corde di calata. Era sulla cengia circolare, una sporgenza larga circa un metro che interrompe la parete rocciosa di Torre Venezia. Io ho raccomandato che stesse fermo in quella posizione, anche se non era facile perché pioveva. Non aveva nulla da mangiare, solo acqua: gli ho spiegato quanto fosse importante bere per evitare la disidratazione. La temperatura era attorno ai 5/6 gradi".
Indossava abbigliamento adeguato?
"Sì, parliamo di due alpinisti esperti, non di due sprovveduti con la t-shirt e le scarpe da tennis. Quello che è successo è stata una tragica fatalità, non c’entra l’imperizia".
Come è avvenuta l’operazione di salvataggio?
"Alle prime luci dell’alba, è atterrato a disposizione delle squadre l’elicottero dell’Air Service Center, convenzionato con il Soccorso alpino, che ha atteso si aprisse un varco tra le nuvole persistenti per decollare. Dopo le 6.20 con l’elicottero siamo saliti all’altezza della cengia circolare e lo abbiamo recuperato. Da lì è stato portato al campo base ai Piani di Pelsa e poi al Rifugio Vazzoler per essere riscaldato e rifocillato. Quando l’ho raggiunto al rifugio più tardi, dopo aver recuperato la salma della vittima, gli ho detto che aveva superato la prova della vita, dimostrando il coraggio di un vero uomo".