Al Monumentale fra storia e rime di Ingino

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Maurizio

Cucchi

Arrivo al Monumentale in una giornata di bel sole e per prima cosa rendo un grato omaggio col pensiero a due grandi maestri milanesi della nostra poesia del Novecento: Delio Tessa e Giovanni Raboni, che sono lì vicini nel Famedio. E saluto con gioia un personaggio di altro genere, ma che ben mi ricorda la mia infanzia, quando lo vedevo trionfare al Vigorelli, e cioè il velocista Antonio Maspes. La mia presenza sul posto è però legata a un particolare evento e cioè una insolita presentazione di un libro di poesia che il suo autore, Giovanni Ingino, ha desiderato si svolgesse qui, muovendoci poi tra plastici ricordi artistici, in un incontro tra l’andarsene per sempre e il respiro degli affetti che molte immagini scultoree ci offrono. Il libro (e lo consiglio) si intitola L’amore e la tabe, edito da Passigli, e muovendoci per i viali ne parliamo e ne leggiamo parti. Siamo un gruppo vario di una ventina di persone: altri poeti e ammiratori di Ingino. Di speciale efficacia nelle sue parole, e nella lettura di testi anche classici, vicini al tema appunto dell’amore e dell’umano non esserci poi più, è un poeta e artista di Como e cioè Wolfango Testoni. Muovendoci tra un monumento e l’altro, è come se un po’ passassimo attraverso i viali della storia, di quella milanese, soprattutto, e dunque il percorso accende il sentimento, ci fa sentire più legati a vicende e figure del tempo passato che ci hanno condotto fino a qui. E la parola poetica, nell’ essenzialità pregnante della sua natura, della sua voce, ne è ancora una volta un tramite ineguagliabile. Da tempo non venivo al Monumentale, dove questa volta il pensiero triste del nostro destino è riuscito a coniugarsi con l’inesausta spinta verso un’adesione piena all’esserci che è comunque, fortunatamente, nelle nostre risorse. E mi sono allora ripromesso di tornare a questo spazio dedicato al passato e a chi se ne è andato, uno spazio ampio e ricco di bellezza, di cui la nostra città è giustamente fiera.

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