Abilitazione per l'insegnamento in Romania e Bulgaria: stretta del Miur. Piovono ricorsi

Arriva l’alt soprattutto a chi ha cercato di prendere a Bucarest la specializzazione nel sostegno

Una manifestazione contro il precariato

Una manifestazione contro il precariato

Milano, 7 maggio 2019 - C’è chi ha speso cinquemila euro per ottenere l’abilitazione per l’insegnamento in Romania e ad alcuni il “pacchetto completo” è arrivato a costare ottomila euro. Ma arriva la stretta del Miur: «I “Programului de studii psihopedagogiche, Nivelul I e Novelul II” conseguiti dai cittadini italiani in Romania non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente» in quanto questi titoli, «non essendo considerati sufficienti per l’esercizio della professione di insegnante in Romania», non possono tanto meno essere fatti valere a tal fine in territorio italiano. Arriva l’«alt» soprattutto a chi ha cercato di prendere a Bucarest la specializzazione nel sostegno, anche perché «non vi è corrispondenza con l’ordinamento scolastico italiano che prevede che gli alunni con bisogni educativi speciali studino nelle classi comuni con il supporto dell’insegnante e non scuole speciali a loro dedicate», recita la nota del Miur.

«Istanze rigettate»: la conclusione. Comincia la pioggia di ricorsi, con gli studi legali che si appellano alla direttiva del 2005 che riconosce la possibilità di conseguire titoli negli stati membri dell’Unione Europea. E la Romania non è l’unica rotta tentata dai precari dell’insegnamento in questi anni. Un centinaio ha percorso la via bulgara, bloccata da un’altra nota del Miur finita sui banchi del Tar: il 4 giugno ci sarà sentenza di merito. Altra meta gettonata: la Spagna. Qui c’è un pre-requisito: a partire dal 16 marzo 2017 il riconoscimento dell’abilitazione conseguita in Spagna può avvenire solo per chi attesta la partecipazione al concorso pubblico spagnolo e il superamento di almeno una parte dello stesso. Anche in questo caso non sono mancate battaglie legali con i primi vincitori del “Máster en Formación del Profesorado”. Precedenti ai quali si appellano anche gli abilitati dell’Est Europa. Sullo sfondo agenzie che di mestiere invitano gli aspiranti professori a cercare l’alternativa estera, promettendo a chiare lettere l’abilitazione chiave in mano e postando sul sito anche pagine col logo del Miur.

I “pacchetti” sono diversi: c’è chi per prendere l’abilitazione in Romania e in Bulgaria è stato lì tre volte, chi 15 giorni full immersion. «Si seguono le lezioni con un tutor italiano che traduce, si sostiene un esame finale tenendo una lezione in italiano, che viene riportata nella lingua del posto alla commissione», spiega un professore di Milano che ha tentato la via. Poi c’è tutta la trafila per ottenere in ambasciata il certificato di valore del titolo. Fra gli aspiranti c’è chi è laureato sì (la laurea è d’obbligo) ma faceva tutt’altro nella vita ed è stato “ingolosito” dal posto fisso nella scuola, ma anche chi insegna da anni ed è finito nel limbo del precariato con i cambi repentini delle normative e ha cercato, guardando oltre confine, di dare un’accelerata. «Ma nessuno ha mai detto che ci sarebbe stata la certezza di riconoscimento del titolo conseguito all’estero, erano consapevoli di quello che stavano rischiando – ricorda Massimiliano Sambruna, segretario generale Cisl Milano –. Personalmente penso che l’ultima nota del Miur sia favorevole, non è che nella scuola possa entrarci chiunque, servono percorsi certi di abilitazione, non scorciatoie di una settimana o poco più. Soprattutto nel sostegno. È vero che c’è il problema del precariato, che servono più concorsi abilitanti, ma non è questa la via».

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