
In primo piano “Natura morta“ di Jago, in alto la Canestra di Caravaggio
MILANO – La Veneranda Biblioteca Ambrosiana si apre (finalmente) sempre di più all’arte contemporanea. Così è nata la collaborazione con lo scultore Jago che si confronta apertamente con la Canestra di frutta di Caravaggio, tra i capolavori della collezione del museo, nella mostra Natura Morta Jago e Caravaggio (sino al 4 novembre), a cura di Maria Teresa Benedetti e organizzata in collaborazione con Arthemisia. Un accostamento “forte” perchè forte è la reazione che l’artista (“Qui il solo vero artista è lui, Caravaggio!” dice molto modestamente Jago, all’anagrafe Jacopo Cardillo) spera di provocare nel pubblico. Se nella pittura caravaggesca la bellezza della frutta matura diventa metafora del tempo che passa e della caducità della vita, nella cesta di Jago “c’è la morte”, è una canestra piena di armi, pistole, mitragliatrici, oggetti che affollano le nostre esistenze, costruiti per uccidere, prodotti in serie, svuotati di senso, eppure terribilmente reali.
“D’altronde - dice l’artista - pensando al mondo nel quale viviamo, dilaniato dalle guerre, che altro dobbiamo aggiungere? Non trovo più parole per poter descrivere quello che succede oggi (“assistiamo ad un genocidio”, dice a proposito di Israele), quindi mi pongo in posizione di ascolto, che non vuol dire sottrarsi al presente”. Dopo aver installato le sue opere in piazze, ponti, deserti e su navi che salvano vite, perchè proprio questa installazione, qui in questo luogo?
“Tutte le mie opere sono permeate della contemporaneaità, vivo drammaticamente la realtà e penso che più andiamo verso le stragi, verso le guerre, più noi dobbiamo contrapporre il bello, usare tutte le nostre energie per ri-creare un equilibrio positivo. Con quest’opera ho voluto indagare la violenza silenziosa che permea la nostra società, quella che non si manifesta solo nei conflitti armati, ma anche nel modo in cui trattiamo l’altro, nel rifiuto, nella sopraffazione
quotidiana. Un cesto colmo di armi ci dice che il frutto del nostro tempo non è più la vita, ma la distruzione”. Si mette in scena, quindi, fra la Canestra di frutta del Caravaggio e la scultura di Jago, un confronto visivo tra due nature morte, diversissime, eppure unite dall’unica domanda: cosa resta della vita quando il tempo e l’uomo la consumano? “Di quella frutta posso dire di ricordare i sapori – continua lo scultore indicando l’opera caravaggesca - ma delle altre cose nella mia cesta che mi resta? L’orrore della morte”.

La scelta del marmo, materiale nobile della tradizione, è parte integrante del messaggio: un materiale eterno per raccontare una ferita del presente, un gesto scultoreo che rimanda alla storia dell’arte italiana, ma che al contempo rompe con essa per denunciare un mondo dove la morte è diventata un prodotto di consumo. “La natura non idealizzata, eppure innocente, di Caravaggio — afferma il direttore della Pinacoteca monsignor Alberto Rocca — è spunto per creare un canestro non più colmo dei frutti della terra, bensì di sofisticati e artificiosi strumenti di morte. La Veneranda Biblioteca Ambrosiana è ben lieta di presentare questa denuncia coraggiosa con una scultura che segna un ulteriore incontro fra passato e presente e che rinnova il linguaggio dell’arte, stimolando una critica intensa e attuale”. Che cosa augurarsi?
“Che ci si possa sollevare, dare voce al dialogo, all’amore, riconoscersi nell’altro”, aggiunge Jago. “Fare il meglio per noi stessi, per gli altri. il nostro campo d’azione deve esser quello di una rivoluzione interiore, certo l’artista non ha il potere di cambiare le cose ma se l’altro si riconosce nelle cose che faccio allora si può generare un percorso virtuoso. Un cambiamento”.