
Achille Lauro
Milano, 16 ottobre 2015 - Sulla scena da poco più di due anni e già è stato ribattezzato il “principe di Roccia Music”. E’ proprio sul ruvido talento di Achille Lauro che Marracash e Shablo (i due fondatori del collettivo artistico) hanno riposto - con un pizzico d’incoscienza iniziale - le loro più sincere aspettative. Figlio di una durissima periferia romana il giovane artista classe 1990, con una chitarra in mano, avrebbe tutte le sembianze della più maledetta rockstar anni Novanta. E invece fa rap. Ma lo fa a modo suo, con un linguaggio aspro e diretto che lo colloca di diritto fra le realtà più promettenti del panorama hip hop italiano. Nel suo ultimo album “Dio C’è”, Lauro è riuscito a intercettare in maniera credibile alcune verità prese in prestito dalla strada; ha scomposto e ricomposto i sentimenti più crudi e infilato tutto in maniera liturgica nei suoi testi. Cavalcando una metrica volutamente sporca in ognuna delle tredici tracce del disco (diciotto nella versione digitale) è in grado di raccontare storie come fossero parabole. Le stesse storie che questa sera (venerdì 16 ottobre) porterà sul palco del Legend Club di Milano.
Cosa ci aspetta stasera?
“La data di Milano è particolarmente importante, una sorta di biglietto da visita per i progetti futuri. Con me ci saranno alcuni artisti del team Roccia Music e ad aprire lo show Sfera Ebbasta & Charlie Charles”.
Una partita ‘fuori casa’ visto che lei è di Roma?
“Sì ma penso che il pubblico milanese sia molto simile a quello romano. In entrambe le città è molto forte la contrapposizione centro-periferia e le dinamiche sono sempre le stesse. Anzi, a Milano questo scarto è ancora più netto e sono tantissimi i ragazzi che si rispecchiano nelle storie di quartiere che racconto nelle mie canzoni. In più, come designato erede di Marracash, non posso che essere un po’ figlio di Milano anch’io. Perlomeno d’adozione”.
Sente di aver soddisfatto le aspettative che Marrcash e Shablo hanno riposto in lei?
“Sì, credo di esserne all’altezza. Grazie a loro sono cresciuto molto sotto il profilo artistico. Quando mi contattarono per entrare a far parte dell’etichetta la mia musica era rigorosamente underground e di nicchia, non avevo quasi mai messo piede fuori da Roma. Insieme a loro ho compiuto passi da gigante e il costante confronto con Marracash mi sprona ogni giorno a dare il massimo nella ricerca di suoni e contenuti”.
E con lui ha girato l’Italia per il tour di “Status”. Com’è andata?
“Benissimo. Tutto è stato al di sopra delle mie aspettative. Ho avuto l’occasione di far ascoltare i miei pezzi a un pubblico vasto ed eterogeneo. In alcune occasioni la gente rimaneva spiazzata ascoltando i primi pezzi ma poi è stato bello vedere come si divertiva e partecipava con entusiasmo allo show”.
Come vive il rapporto con i fan?
“Il dualismo Lauro-personaggio e Lauro-persona per me non esiste. Io sono un’unica entità. Cerco di essere sempre me stesso e rispondo spontaneamente anche attraverso i miei social network. Persino quando mi fermano per strada cerco di non negarmi mai per una foto o un autografo. La cosa più bella però è vedere come molti dei miei fan si riconoscano nelle storie che racconto e ne percepiscono l’autenticità”.
E i rapper li continua a detestare?
“In realtà non li detesto ma penso ancora che la maggior parte delle canzoni rap italiane siano prive di contenuti, totalmente vuote. Proprio per questo con la mia musica cerco sempre di trasmettere qualcosa in una chiave poetica”.
Appuntamento venerdì 16 al Legend Club di Viale Enrico Fermi (Milano), alle 22.