Treno Frecciarossa deragliato a Lodi: Rfi ha risparmiato sulla sicurezza

Per la Procura il disastro di Livraga causato da una falla nei sistemi di controllo

Quindici persone sono nei guai per disastro colposo e omicidio colposo plurimo

Quindici persone sono nei guai per disastro colposo e omicidio colposo plurimo

Livraga (Lodi) - Per la Procura le cause principali del deragliamento sono tre: l’attuatore del deviatoio del binario difettoso prodotto da Alstom Ferroviaria; la scarsa formazione dei manutentori di Rfi in materia di prove di concordanza; e soprattutto "l’assenza a livello nazionale di sistemi automatici di controllo per verificare il corretto funzionamento delle logiche d’impianto". Quest’ultimo è un passaggio-chiave per il procuratore di Lodi Domenico Chiaro, che giovedì ha chiuso le indagini sul Frecciarossa 9595 Milano-Salerno deragliato alle 5.35 del 6 febbraio 2020 all’altezza dello scambio di Livraga causando la morte dei due macchinisti Giuseppe Cicciú e Mario Dicuonzo e il ferimento di una decina di passeggeri.

I magistrati di Lodi hanno messo nero su bianco il perché delle accuse di disastro colposo e omicidio colposo plurimo nei confronti di 15 persone (tra le quali Maurizio Gentile, ex ad di Rfi, e Michele Viale, presidente di Alstom Ferroviaria), oltre alle due società Rfi e Alstom F. per la responsabilità amministrativa.

C’è voluto un anno e mezzo di indagini per scoprire una "falla" nel sistema di sicurezza sull’intera rete ferroviaria. Un aspetto che l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie aveva già fatto notare a Rfi nel 2016, chiedendo di prendere provvedimenti. Ma dall’azienda nessuno era intervenuto, almeno fino a pochi mesi fa e comunque dopo la tragedia. Per la Procura di Lodi una scelta che ha permesso a Rfi di ottenere un "vantaggio consistito in un risparmio economico finanziario derivato dalla mancata tempestiva adozione a livello nazionale di sistemi automatici per verificare, prima della messa in esercizio di un impianto di sicurezza sottoposto a un intervento manutentivo, il corretto funzionamento delle logiche di impianto e la concordanza tra l’effettivo stato fisico degli enti di piazzale e il relativo comando e controllo dell’impianto medesimo". Inoltre secondo la Procura i manutentori non erano del tutto formati su come affrontare una situazione del genere.

Infatti nella lista degli indagati c’è anche il direttore della Direzione produzione di Rfi perché "ometteva di adottare misure di sicurezza del sistema infrastrutturale chiare, precise ed inequivocabili per affrontare e risolvere una condizione di degrado incorsa in un’attività di manutenzione". Poche ore prima dell’incidente la squadra di esperti della manutenzione di Rfi, composta da cinque operai che avevano lavorato alcune ore quella notte prima della tragedia su altri deviatoi, compreso il cambio di un attuatore sul deviatoio 5, il “punto zero“ del deragliamento, avevano notato che qualcosa non tornava.

Lo scambio su cui avevano installato un nuovo attuatore prodotto da Alstom Ferroviaria non rispondeva ai comandi come avrebbe dovuto. Un problema non da poco, determinante per la tragedia. A montare i fili dell’attuatore in posizione sbagliata, secondo l’inchiesta, sarebbe stato un operaio metalmeccanico pugliese di quarto livello, 29enne, mandato a lavorare in Alstom con contratto a termine da un’agenzia interinale che per la Procura non aveva fornito una formazione adeguata. Anche lui è tra gli indagati come i due operai manutentori Rfi che installarono sulla linea l’attuatore difettoso senza accertarsi, secondo i pm, in che posizione fosse materialmente il deviatoio dello scambio. Per la Procura c’era anche una sproporzione tra il numero di operai della squadra, sei, e i compiti affidati quella notte da eseguire in una fascia oraria ristretta per non compromettere la ripresa della circolazione dei treni al mattino.