
di Carlo D’Elia
"Non dimenticherò la sensazione di impotenza davanti a tutto quello che stava accadendo". Questo il ricordo di Aurelio Ferrari – sindaco di Lodi per nove anni dal 1996 al 2005 – dell’alluvione che colpì duramente la città nella notte tra il 26 e il 27 novembre 2002. Un allarme rosso per il fiume che uscì, come non era stato previsto dai tecnici dell’epoca, dagli argini raggiungendo la quota record di 3 metri e 43 centimetri, altezza mai toccata e superiore di oltre 20 centimetri a quella devastante verificatasi negli anni ‘60.
L’acqua invase tutto il quartiere del Borgo Adda e di via Defendente sulla sponda destra, e quello di Revellino sulla sponda sinistra. Il sindaco Ferrari dispose l’immediato sgombero di tutte le famiglie residenti ai piani terreni, circa 3mila persone. In alcune strade si rese necessario l’impiego di mezzi anfibi. La maggior parte degli sfollati trovò ospitalità da parenti o conoscenti, mentre gli altri furono accolti nelle scuole e nella palestra del quartiere San Bernardo.
"L’Adda esondò, con una forza devastante – ricorda l’ex sindaco Aurelio Ferrari – La piena del fiume, secondo le previsioni, sarebbe dovuta arrivare alle 15 del 26 novembre 2002. E invece arrivò alle 23.30. Devo ringraziare tutta la comunità. Tutti hanno dimostrato una solidarietà fuori dal comune in quei giorni".
Un’esperienza terribile, che ha segnato per sempre la città. Diciannove anni dopo, la gente che visse sulla propria pelle la fredda notte senza elettricità, il terrore dell’acqua che saliva, che sperimentò l’abbandono e la paura, ha ancora negli occhi le immagini di quel tragico martedì sera.
"Abbiamo avuto l’acqua per circa 1,30 metri nei box, per giorni siamo rimasti bloccati in casa – ricorda Carmen Ansi, che faceva parte del Comitato alluvionati, che abitano al Pratello nella zona confinante con l’odierna Spina Verde – La situazione in città era preoccupante e tremenda. Abbiamo avuto paura".
E poi c’è tutto il dopo. Dagli scarsi risarcimenti per le famiglie al mancato riconoscimento dello stato di calamità. "Abitavo alla Martinetta e quindi ero stato costretto ad abbandonare la mia abitazione – dice Domenico Ossino, tra i fondatori del Comitato – Ricordo che chiamai la Prefettura alle 19 del 26 novembre, chiedendo cosa fare. Mi dissero di stare tranquillo. Poi l’Adda esondò e l’acqua arrivò fin dentro casa. Una situazione gravissima".