Coronavirus, il paradosso della fabbrica bloccata: "Chiusi a Codogno, aperti in Cina"

Rabbia alla Mta, 600 dipendenti: "Se lo stop dovesse proseguire, ci saranno conseguenze per il personale"

Un presidio dei lavoratori della Mta di Codogno

Un presidio dei lavoratori della Mta di Codogno

Codogno (Lodi), 26 febbraio 2020 - Fabbrica aperta a Shanghai, in Cina, ma casa madre chiusa a Codogno, nel Lodigiano. È il paradosso di Mta, azienda specializzata nello sviluppo e nella produzione di congegni elettromeccanici ed elettronici destinati ai principali costruttori di veicoli, che deve far fronte al blocco dell’attività del suo sito principale in seguito delle disposizioni del ministro della Salute che ha sbarrato lo stabilimento produttivo di Codogno così come le altre 3.500 aziende all’interno della cosiddetta zona rossa.

«Abbiamo fatto richiesta alle autorità di poter consentire al 10 per cento della forza lavoro (60 persone circa) il rientro alle attività produttive – ha spiegato Maria Vittoria Falchetti, responsabile marketing del colosso dell’automotive –. Infatti, la parziale ripresa permetterebbe all’azienda di poter espletare le consegne nelle tempistiche imposte dai clienti, consentendo agli stabilimenti italiani ed esteri delle case costruttrici di veicoli, con le quali collabora, di non interrompere le linee di produzione, evitando ulteriori aggravi dal punto di vista economico e sociale». Se si potraesse l’impossibilità di consegnare le merci, ci sarebbero già effetti negativi nella giornata di oggi visto che «scatterebbe il fermo delle tre linee di produzione di Fca Mirafiori, Cassino, Melfi e a quelle di Sevel, la joint venture Fca-Psa che produce i furgoni Ducato ad Atessa, in Abruzzo. «Ma se il blocco proseguisse, dal 2 marzo prossimo, tutti gli altri stabilimenti Fca in Europa e quelli di Renault, Bmv e Peugeot», sarebbero costretti a fermarsi. E l’effetto domino potrebbe essere ancora più devastante visto che verrebbero coinvolti anche altri produttori «con conseguenze irreparabili per l’azienda e il personale occupato». Dunque per la Meccanotecnica la situazione è grave. 

L’unico modo per non peggiorarla è quella di adottare il sistema già testato proprio in Cina. «Abbiamo già affrontato l’emergenza Covid-19 nel nostro stabilimento produttivo cinese di Shanghai e dunque conosciamo tutte le procedure necessarie per continuare a produrre nella piena sicurezza dei lavoratori – ha sottolineato Falchetti –. Abbiamo, qui a Codogno, un’area coperta di 40mila metri quadrati e previa verifica quotidiana dello stato di salute di ogni lavoratore, con riguardo ai sintomi e segni del virus, chiediamo solo di far entrare 60 lavoratori per far ripartire l’attività. In portineria misureremmo la temperatura a ogni addetto, le zone di lavoro sarebbero disinfettate, i lavoratori indosserebbero guanti e mascherine, il riscaldamento o il raffrescamento sarebbero disattivati. Chiediamo questa possibilità, perché il danno non sia superiore a quanto già subìto in questi giorni»