MARIO BORRA
Cronaca

Codogno, l’ex fabbrica è una baraccopoli: qui si vive tra amianto e rifiuti

Viaggio nell’inferno di via Mochi. Ci si scalda con una vecchia stufa e non ci sono bagni

Il reportage nell'area abbandonata

Il reportage nell'area abbandonata

Codogno (Lodi) – Oltre la recinzione aperta nel primo pertugio arrivando dalla rotonda di Retegno e il breve percorso di un vialetto improvvisato si è apre un mondo a parte. Una cittadella vera e propria nella fabbrica dismessa di via Mochi a Codogno che, tra un mese esatto, forse, verrà comprata all’asta. Un girone dantesco che fa venire la pelle d’oca e dovrebbe smuovere le coscienze (nessuna accusa diretta a qualcuno in particolare) per impedire che, questo angolo di città, non sia più la baraccopoli attuale. Dopo la vegetazione, si apre improvvisamente una specie di piazzale stretto tra i capannoni dismessi dell’ex fabbrica di bidoni di plastica chiusa per la crisi nella metà degli anni Duemila. Qui, non ci sono persone, ma “fantasmi”: non perchè non siano uomini e donne in carne e ossa con la loro dignità ma perché sono gli ultimi, i dimenticati, coloro che sono costretti a vivere tra cumuli di rifiuti, piccoli spazi ricavati tra le mura abbandonate della ditta chimica, giacigli di fortuna. Si sapeva della loro presenza, ma vederlo dal vivo lascia senza fiato.

Passando per il piazzale, si notano cumuli di rifiuti, passeggini, biciclette appoggiate ai muri, materassi e persino divani, presi chissà dove e collocati in questo “inferno“ perché possa essere un po’ più accogliente. Da un improvvisato sfiatatoio esce fumo, forse di un fuoco acceso per scaldare l’ambiente di questi “slum“ di casa nostra. I capannoni hanno tutti vetri e porte sfondati. Giunti in fondo allo spiazzo, si nota un locale sicuramente abitato da qualcuno che al momento però non c’è. Ci sono tracce inequivocabili di una sistemazione, seppur precaria, che però a tutti gi effetti vorrebbe richiamare la normalità di una casa: suppellettili, pentole, tavolini. C’è pure un filo steso per il bucato. In fondo però ci accoglie una anziana di nazionalità romena il cui ciaciglio è letteralmente un buco con il soffitto fatto di lastre di amianto puntellato per evitare il rischio di un crollo improvviso. Dentro due letti posizionati ad elle e vicino una stufa ricavata da una bidone di ferro arrugginito dove sono alimentate le braci. Il piccolo cane fa la guardia ed abbaia.

Non c’è uno scarico e il fumo esce dalla piccola porta sgangherata. Davanti all’apertura ci sono pezzi di legno accatastati che dovrebbero alimentare il piccolo fuoco. Le dico che c’è il rischio che potrebbe sprigionarsi monossido e di stare attenta. Lei sorride e tira su le spalle, dicendo che ormai abituata. Accanto al suo, c’è un altro piccolo “monolocale“ le cui pareti d’ingresso sono di lamiera e tutto intorno si estende una marea di rifiuti di ogni genere. Piove. L’acqua cade dalla copertura e serve un catino per raccoglierla. Ovviamente non ci sono servizi igienici e ci si arrangia per i bisogni corporali. La situazione è oltre l’immaginabile. L’area è così vasta che all’interno ci potrebbero “vivere“ decine di persone: al momento, a detta dell’unica presenza, vi sono quattro individui, ma nel recente passato erano sicuramente di più. Appena prima dell’uscita, il primo capannone della “stecca“ era, una volta, la zona degli uffici: se si solca l’ingresso, si nota che qui non solo sono passati i clochard ma anche i vandali che si divertono a spaccare tutto e a scrivere sui muri. Si torna fuori sulla ciclabile e sembra un altro mondo distante anni luce. Entro il 7 febbraio prossimo si potranno presentare le offerte per comprare l’area da 17mila metri quadrati: la base d’asta è praticamente simbolica, 100 mila euro. Chi la comprerà ( se ciò avverrà) raderà al suolo tutto e farà scomparire una volta per tutte la piccola città dei “fantasmi“.