Casalpusterlengo, le 'migrazioni' forzate dei malati di tumore

Daniela racconta la storia di suo padre, paziente oncologico in cura a Casale, che per proseguire la terapia è dovuto andare a Piacenza

Un’operatrice sanitaria in corsia

Un’operatrice sanitaria in corsia

Casalpusterlengo (Lodi), 15 giugno 2020 -  «Mio padre, malato di cancro, è stato costretto a lasciare il Lodigiano per continuare le cure". La testimonianza è di Daniela, 40 anni, di Casalpusterlengo, che da tre anni assiste suo padre che lotta contro un tumore al fegato e ai polmoni. L’uomo, 66 anni, è sempre stato in cura in Oncologia all’ospedale di Casalpusterlengo, almeno fino a quando il reparto è rimasto aperto.

Sono tanti i disagi che i pazienti oncologici gestiti dall’Asst di Lodi sono stati costretti a subire da quando è iniziata l’emergenza coronavirus, tra visite di controllo rimandate e ritardi nella gestione delle terapie. A pesare anche la scelta dell’azienda di trasformare il presidio del Basso Lodigiano in un hub per i Covid “verdi“, cioè i pazienti positivi al Covid che hanno bisogno di una sorveglianza attiva e non possono rimanere al proprio domicilio. La struttura, tra marzo e aprile, è stata svuotata quasi completamente, i reparti sono stati smistati tra Codogno e Lodi. Si tratta della Riabilitazione, Geriatria, Sub acuti e soprattutto Oncologia e Day hospital oncologico.

«Sono stati mesi molto difficili – racconta Daniela –. Mio padre doveva seguire una terapia molto invasiva, così il medico ci aveva detto che si sarebbe dovuto sottoporre ad almeno un elettrocardiogramma al mese per sicurezza. Con l’emergenza coronavirus però tutto si è fermato: l’ospedale è diventato inaccessibile e dopo qualche settimana di attesa abbiamo deciso di spostarci a Piacenza. È una scelta che mi fa arrabbiare perché a Casalpusterlengo tutto funzionava benissimo".

A marzo il periodo più duro quando, tra medici e infermieri in malattia, Daniela e suo padre non sapevano a chi rivolgersi per poter passare alla nuova terapia di chemio. "Io chiamavo in ospedale e dicevo: “Mio padre è senza terapia, che faccio?“ e non sapevano che rispondermi“, spiega la 40enne che a fine aprile ha deciso di rivolgersi a Piacenza per continuare le cure. "Nel presidio emiliano tutto sta funzionando. Abbiamo subito fatto un elettrocardiogramma di controllo e una tac per la rivalutazione della malattia, tutte cose che nei presidi lodigiani non sono mai state fatte. Purtroppo tante altre persone del Lodigiano sono nella stessa situazione. Stiamo andando a Piacenza, ma la sensazione è che un’Oncologia come quella dell’ospedale di Casalpusterlengo non doveva essere smantellata senza garantire un cambio idoneo. Anche il fattore psicologico di una malato oncologico costretto a spostarsi è da considerare"