Coronavirus, la Iena Alessandro Politi: "Non bastano 15 giorni d’isolamento"

Il caso della “Iena“ inverunese: un mese senza sintomi ma il virus non se ne va

La Iena Alessandro Politi

La Iena Alessandro Politi

Inveruno (Milano), 7 aprile 2020 - «Chi ha deciso che quindici giorni sono necessari a debellare il virus? Il mio caso dimostra il contrario: a 28 giorni dal contagio sono ancora pienamente positivo. Quante persone ancora infette vanno a fare spesa, passeggiano sottocasa, parlano con i vicini? Non è che forse il contagio tarda a fermarsi anche per questo motivo?". "Non è che è ora di fare a tutti questi benedetti tamponi?". Queste domande se le pone Alessandro Politi, un volto noto ai telespettatori che seguono il programma Le Iene (al momento sospeso proprio a causa del contagio che ha riguardato lo stesso Politi). Domande rese pubbliche con un video realizzato ieri dal giovane inverunese.

Questa la sua storia. "Il sette marzo mi sono svegliato con la febbre (38,5 gradi), un forte mal di testa e mal di gola". In quei giorni non c’erano ancora i decreti di chiusura. "In ospedale, dopo svariate insistenze, riesco a farmi fare il tempone, perché facendo il giornalista sono in contatto con centinaia di persone ogni giorno. Non volevano farmelo perché non avevo una sintomatologia grave. Risulto positivo al Covid 19". "Torno a casa, prendo della Tachipirina e mi passa completamente la febbre. Il giorno dopo mi sveglio con 37,3 di febbre. Il terzo giorno sto già bene. I sintomi sono spariti". Alessandro attende, chiuso in casa e senza contatti con nessuno, i proverbiali 15 giorni e torna a fare il secondo tampone. È ancora positivo. "Il tre aprile ho fatto il terzo tampone, quindi quasi a un mese dal primo, e sono risultato ancora pienamente positivo".

Deve rimanere ancora a casa. "A questo punto ho deciso di rompere il mio isolamento, di lasciar perdere la privacy e raccontare pubblicamente la mia storia, ponendomi ma soprattutto ponendo delle domande a chi sta gestendo questa emergenza che pare proprio non vedere la luce in fondo al tunnel". "Perché – è la domanda di Alessandro - secondo le direttive dell’Oms, recepite dalle varie Regioni, una persona che ha avuto i miei stessi sintomi, e che non ha avuto la fortuna mia di poter fare il tampone, una volta spariti questi sintomi può uscire di casa dopo 15 giorni?". "Conosco moltissime persone – ho ricevuto dei messaggi da amici e ascoltatori - che hanno avuto i miei stessi sintomi ma ai quali non è mai stato fatto il tampone. Chiedo, sulla base di cosa queste persone sono ritenute non contagiose, possono andare a fare la spesa quando vogliono, andare in farmacia o anche andare a lavorare? Non è che queste persone sono ancora positive, esattamente come me e che continuano a trasmettere l’infezione? Non è che queste linee guida andrebbero riadattate? Per questo dico che la soluzione a questo male è un tampone a tutti, per bloccare definitivamente il diffondersi dell’epidemia".

Alessandro racconta di questo mese, delle ansie e delle paure che ha vissuto e che sta ancora vivendo. "Ma questo virus che circola nel mio corpo mi procurerà dei danni negli anni a venire? Nessuno me lo sa dire. Perché nessuno studia queste cose. Come questo sbattermi in faccia l’esito del tampone “pienamente positivo“. Cosa significa, cosa rischio?" si chiede. "Ho visto in questo mese che per le persone malate di coronavirus non è prevista nessun tipo di assistenza psicologica. Nessuno che ti dice come gestire questi momenti. Non nego che si vive nell’ansia, nella paura e nel terrore. Se uno non è forte va certamente in depressione".