
Enrico Bacci di Magenta
Magenta (Milano), 22 maggio 2018 - «Sono italiano dalla nascita, ho sempre pagato le tasse, ho sempre avuto i documenti in regola, ma oggi sono nella condizione di non poter avere un medico di base, di non poter rinnovare la carta d’identità o la patente». Come mai? «Perché il Comune di Magenta non mi rilascia la residenza facendosi scudo del nuovo regolamento regionale che disciplina i servizi abitativi nelle case Aler? Così hanno decretato la mia morte civile». Il caso di Enrico Bacci, cinquantenne magentino, è simile a quello di altri quattro venuti alla luce in queste settimane tra Abbiategrasso e Magenta.
«Abitavo nelle case Aler di via Manin assieme a mia madre e a mio fratello minore – racconta l’uomo –. In questo alloggio ho anche effettuato lavori di adeguamento e sostituzione di parti ammalorate, spendendo 30mila euro che l’Aler non mi ha mai voluto riconoscere».
«Nei primi anni Duemila ho lasciato l’abitazione di mia madre per andare a vivere altrove con la mia compagna e sua figlia. Ho cambiato paese, prendendo una casa in affitto. Poi è accaduto che la ditta per cui lavoravo non mi ha più pagato e poi mi ha anche licenziato. A questo punto – dice – sono stato costretto a lasciare la casa in affitto e a tornare da mia madre, che nel frattempo era defunta. La casa intanto era passata a mio fratello».
Quando si è recato in Comune per chiedere la residenza per sé, la compagna e la figlia, si è sentito dire che non l’avrebbe potuta avere in quanto il nuovo regolamento adottato dalla Regione nei mesi scorsi prevede che negli alloggi Aler l’ampliamento del nucleo familiare è ammesso nei soli casi di nascita, matrimonio, unione civile, convivenza di fatto o provvedimento dell’autorità giudiziaria. Non viene concesso l’ampliamento del nucleo famigliare residente (e da qui scaturisce la mancata concessione della residenza) ai figli degli occupanti regolari che dopo un divorzio o una cassazione della convivenza e nell’impossibilità di trovare alternative abitative sono stati costretti a far rientro nell’alloggio dei genitori. «Mia figlia in quei tempi era incinta. Essendo nata all’estero e senza residenza non poteva essere assistita nel parto in ospedale».
In questo caso la soluzione è stata quella di trovare una persona che ha accettato di accogliere formalmente la figlia nel proprio nucleo famigliare. Così la ragazza ha avuto la residenza italiana ed è stata curata in ospedale senza problemi. Ma non c’è solo il caso di Enrico. C’è anche quello di Cosimo, che abita nelle case popolari di via Sanzio. La figlia si è separata e non ha più una casa. Il padre la accoglierebbe volentieri nella stessa casa, dove la ragazza è cresciuta, ma anche lei non può. Potrebbe essere accolta come ospite, ma solo per un anno. Al termine del quale se sarà ancora in quella casa il padre rischia una denuncia perché ha in casa una persona irregolare. C’è il caso di Antonio, che, dopo aver perso il lavoro e la casa che aveva in affitto a Rosate, è tornato nella casa di via Fusè ad Abbiategrasso ma non può risultare residente lì.