FEDERICO MAGNI
Cronaca

I Ragni di Lecco sfidano la “Montagna di luce”: tre alpinisti fuoriclasse sulla Parete Ovest del Changabang

Una vetta-mito dell’Himalaya e una cordata di fuoriclasse già in viaggio verso il Nord dell’India. “È possibile salire una parete come quella con lo stile leggero che usiamo sulle Alpi? Noi ci proviamo”

La via di Boardman e Tasker sulla parete ovest del Changabang

La via di Boardman e Tasker sulla parete ovest del Changabang

LECCO – Changabang “montagna di luce”, un nome che rievoca alcune delle vicende più affascinanti della storia dell’alpinismo. Si innalza per 6864 metri di altezza vicino al confine fra India e Tibet. La sua forma a dente di squalo, una distesa verticale di granito bianco sulla quale si insinuano colate di ghiaccio; la rendono una di quelle cime dell’Himalaya a lungo considerate inaccessibili. Una cordata di Ragni, formata da Luca Schiera, Luca Moroni e Giacomo Mauri, è già in viaggio verso il Garwhal indiano con l’obiettivo di attaccare la parete Ovest e tentare la scalata in stile alpino, in un’unica spinta: qualcosa che ancora non si è mai visto a quelle quote e su quelle difficoltà.

Il Changabang, la "montagna di Luce"
Il Changabang, la "montagna di Luce"

La prima salita della montagna risale al 1974 quando il team guidato da Chris Bonington riuscì a salire lungo la parete Sud-Est. I primi a vincere la Ovest furono gli inglesi Joe Tasker e Pete Boardman. Impiegarono più di venti giorni e la loro impresa contribuì a creare il mito della “Montagna di luce”, perché quella parete alla fine degli anni ‘70 era considerata impossibile, un azzardo. Un team neozelandese ci è riuscito nuovamente 46 anni dopo, nel 2022, in una decina di giorni. L’idea dei Ragni è quella di provarci in meno di 48 ore.

SPEDIZIONE RAGNI CHANGABANG
Il percorso degli alpinisti lecchesi sul Changabang

Come è nata l’idea del Changabang?

“Da qualche anno ci ronzava per la testa l’idea di provare a scalare la parete Ovest - spiega Luca Schiera - con un approccio diverso, cercando di salire non tanto in velocità, ma nel modo più leggero possibile. La linea di Boardman e Tasker è una scelta quasi obbligata e comunque è la più attraente. La parete Sud non è accessibile, la Nord non sembrava una buona idea”. Quali difficoltà vi aspettano? “Quando gli inglesi andarono lì nel ’74 la Ovest era ancora considerata impossibile. Boardman e Tasker due anni dopo trascorsero più di venti giorni in parete per riuscirci. I neozelandesi una decina. Il nostro è un esperimento: se le difficoltà non sono sempre sostenute, pensiamo che possa diventare più una questione mentale e di allenamento. Sicuramente dobbiamo essere in ottima forma per provarci”.

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Come vi acclimatate per affrontare una parete del genere?

“Non sembra ci siano altre montagne vicine per farlo. Quindi saliremo un pezzo di via per poi scendere. Così possiamo prendere le misure e capire se l’idea che abbiamo in mente, nella pratica sia fattibile. La parte più difficile dovrebbe essere quella su roccia, in alto sarà sicuramente ghiaccio. Quindi ci divideremo i compiti in tre, per quelle che sono le nostre caratteristiche: è il team giusto”.

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Per capire quanto il Changabang sia una questione per pochissimi, bisogna spulciare l’elenco dei protagonisti delle altre vie aperte: Wojciech Kurtyka, Krzysztof Żurek, Alex McIntyre e John Porter realizzarono la Diretta alla parete Sud nel 1978. Andy Cave, Mick Fowler, Brendan Murphy e Steve Sustad vinsero la parete Nord nel 1997.

“Ci siamo chiesti se sia possibile, ma soprattutto se siamo in grado, di salire il Changabang con lo stesso stile che usiamo sulle pareti delle Alpi o della Patagonia, dove le quote più basse possono permetterti di muoverti con un approccio molto leggero - continua Schiera -. È vero che, in cinquanta anni, tante vie sono diventate molto più semplici, ma la quota, il freddo e soprattutto il timore che senti quando sei sotto a una parete alta un chilometro, che si sviluppa sopra i 6000 metri di quota, penso siano rimasti uguali. Come sempre, per avere la risposta alle nostre incognite, l’unico modo è partire. Dovremo avere una volontà dura almeno quanto il granito bianco del Garhwal, anche solo per provarci”.