REDAZIONE LECCO

"La Svizzera, mondo di mezzo per le holding del crimine organizzato"

Investimenti in bitcoin, armi e droga da far passare, denaro riciclato nel primo convegno dell’Osservatorio Ticinese sul tema

Dalla Calabria al resto d’Italia, ma anche alla Svizzera. Gli “uomini del disonore“ della ‘ndrangheta hanno esteso i loro tentacoli anche nella terra dei Cantoni. A mettere in guardia gli elvetici è Alessandra Cerreti, pubblico ministero della Direzione distrettuale Antimafia di Milano, intervenuta al primo convegno di O-TiCo, l’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata, organizzato all’aula magna del Campus Ovest dell’Università della Svizzera italiana di Lugano con il titolo “Tracce della criminalità organizzata in Ticino tra passato e presente“.

"La ‘ndrangheta è la forma di criminalità organizzata più temibile al momento – avverte il magistrato – Dovete evitare di cadere nel tranello della sindrome “Nimby“, cioè “Not in my backyard“ ovvero “Non nel mio cortile“ pensando che un fenomeno non ci riguardi o che non sia possibile che dai noi accada perché invece le sue ramificazioni toccano anche la Svizzera. La ‘ndrangheta sta cercando dove investire i grossi capitali di cui dispone, lo fa in tutto il mondo, anche in Svizzera, con sistemi all’avanguardia. Ha una grandissima capacità imprenditoriale, investe in bitcoin, ha laureati nelle migliori università. La Svizzera è un Paese molto interessante per una holding del crimine che cerca investimenti, è inoltre vicina e la ‘ndrangheta riesce a far passare armi, droga, denaro da riciclare e latitanti".

"Siamo fuori dagli stilemi classici", ribadisce Annamaria Astrologo, responsabile scientifica dell’Osservatorio, che parla di "criminalità dei colletti bianchi: un mondo di mezzo, dove i confini tra sfera legale e sfera criminale sono opachi", come emerso anche con l’inchiesta “Metastasi“ del 2014 che ha portato alla luce una zona grigia dove politici, imprenditori, mafiosi e i loro interessi si incontrano. Le indagini tradizionali quindi non bastano, il carcere nemmeno: "La mafia è un fenomeno a sé, che non può essere contrastato con strumenti ordinari". Occorre seguire i soldi, come insegnava il giudice antimafia Giovanni Falcone, ucciso il 13 maggio 1992 a 53 anni d’età nell’“attentatuni“ di Capaci. E occorre colpire sempre i soldi: "La confisca dei beni è davvero efficace perché si va a togliere loro lo strumento principale. Se gli togli i soldi, gli togli il potere".

"Se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro, dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia", aggiunge Francesco Lepori, responsabile operativo dell’Osservatorio.

"Serve una crescita culturale collettiva che induca nei cittadini un rigetto delle dinamiche mafiose – sottolinea invece Federica De Rossa, direttrice dell’Istituto di diritto dell’Usi – Serve la consapevolezza per la lotta".