Poliziotto morto, la lenta agonia dell'eroe: 6 ore sotto la lente della Procura

Percorsi una novantina di chilometri, l’odissea dell’agente ferito

L'ultimo saluto di Anna all'agente morto Francesco Pischedda

L'ultimo saluto di Anna all'agente morto Francesco Pischedda

Colico, 7 febbraio 2017 - Cinque ore per essere trasferito in ospedale a Lecco, quasi sei per morire. L’agente scelto della Polizia stradale di Bellano Francesco Pischedda, che ha perso la vita a 29 anni ancora da compiere dopo essere precipitato da un cavalcavia della Super a Colico, al termine di un inseguimento a piedi di un fuggitivo, è approdato all’Alessandro Manzoni di Lecco solo all’una di notte. I sanitari del Pronto soccorso lo hanno portato subito in sala operatoria, ma durante l’intervento il suo cuore ha cessato di battere per sempre a causa di una grave emorragia aortica toracica. I tentativi di rianimarlo si sono rivelati inutili e, poco prima delle 2, non hanno potuto altro che dichiararne il decesso, all’una e cinquanta in punto, 330 minuti dopo la prima richiesta di aiuto.

L’allarme è scattato infatti alle 20.20, quando i due colleghi di pattuglia del poliziotto lo hanno sentito urlare. Nel buio hanno impiegato alcuni istanti a realizzare quanto successo e ad individuarlo ai piedi del ponte, in fondo al dirupo tra le due corsie della Statale 36, in via al Chiarello. I volontari della Croce rossa di Colico e del Soccorso bellanese sono stati i primi ad arrivare nel giro di un quarto d’ora, seguiti quindici minuti dopo dal dottore dell’automedica di Bellano. I feriti sono due: la guardia e il ladro, entrambi gravi, ma quello messo peggio pare il fuggitivo, sebbene anche il poliziotto abbia «la pancia dura come un pezzo di legno», segno che è gonfia di sangue.

Per questo il medico chiede di inviare i rinforzi. Intanto la lancetta dell’orologio corre, il poliziotto è sempre a terra, i colleghi cercano di tranquillizzarlo, lui è cosciente, parla, soprattutto grida per il dolore, qualcuno dei residenti porge una coperta per riscaldarlo, altri insultano il ladro e incitano i soccorritori a lasciarlo «crepare». Per guadagnare tempo prezioso si decide di cominciare il viaggio verso Gravedona e di incrociare l’autoinfermieristica del Moriggia Pelascini a metà strada, ma quando la lettiga parte l’autoinfermieristica ormai si trova a duecento metri di distanza. L’agente alla fine alle 22.20, venti minuti e diciassette chilometri dopo, approda al Moriggia Pelascini di Gravedona ed Uniti.

Tutto è pronto per operarlo, i medici però si trovano davanti una situazione completamente diversa rispetto a quella prospettata, il paziente necessita di un cardiochirurgo, ma nella struttura non c’è. Viene così deciso di trasferire nuovamente l’agente, stavolta verso Lecco, esattamente dall’altra parte del lago, a 57 chilometri di distanza. Si chiede la disponibilità dell’elisoccorso di Como, ma a causa delle condizioni meteo i piloti di Villa Guardia non possono decollare e sono costretti a declinare la richiesta di intervento. Non resta che procedere via terra, lungo la provinciale Regina prima e poi la superstrada Milano–Lecco, ripassando dallo stesso identico punto dove si è verificato l’incidente. Prima inoltre si deve stabilizzarlo, provare a ridurre le fratture, perché in quello stato non è trasportabile, ma per eseguire la Tac e le manovre ci vuole tempo, solo dopo mezzanotte si riesce a caricarlo per la seconda volta sull’ambulanza. Piove, la strada è bagnata e scivolosa, a tratti la visibilità è ridotta a poche decine di metri dalla nebbia e il paziente è critico, occorre muoverlo con cautela. Per questo Francesco arriva a Lecco appena intorno all’una, e cinquanta minuti più tardi, muore. Spetterà all’inchiesta aperta in Procura a Lecco stabilire se questa odissea finita in lutto poteva essere evitata e se ci sono responsabilità.