La trap, le gang e l’azzardo realtà-finzione

Simone Stimolo

Simone Stimolo

Come sono lontani i tempi in cui per dirsi rapper, in Italia, bastava mettersi il cappellino al contrario. Erano anni spensierati, o così volevano sembrare. Poi, varcato il millennio e digerita la cultura d’Oltreoceano, molto è cambiato. Tutto. Il rap è diventato affare serio, da Premio Tenco, mentre la scena giovane se l’è presa la trap. Non è solo questione di autotune. Addio charts come (unico) simbolo del successo, conta l’immagine. Immagine vuol dire successo social. Successo social vuol dire soldi, quelli garantiti dai follower. Se sono tanti. Se condividono. 

Per farsi largo in un business già sovraffollato fino a sfiorare la saturazione ci vuole però un’idea. L’idea a Milano e dintorni, non tanto nuova ma pur sempre efficace, è quella di mettere su una gang. Siamo lontani (ancora) da Tupac e Notorius. E però c’è da riflettere. Da mesi le cronache si nutrono delle gesta di Baby Gang, Baby Touché, Simba La Rue e codazzi vari. Seconde e terze generazioni in cerca di identità con la voglia di esserci anche a costo di strafare. Tanto, là fuori, chi ti dà di meglio? Per cui sì, ogni tanto spunta fuori una pistola, una rissa, una coltellata, un’inchiesta sullo spaccio. Il piano è questo, più o meno: qualche insulto via social, uno sfottò ai rivali, poi una minaccia e magari ci vediamo a Milano (ché tutti arrivano “defuera”, sparsi nella Lombardia che si credeva più mite) a fare un po’ di casino. Risultato: indagini, denunce, arresti. Ma anche racconti ricostruiti, in un continuo andare e venire tra verità e finzione che fa serialità 3.0.

Il quartiere messo a soqquadro? Ma è per girare un video. Il sequestro del rivale? Ma ci siamo messi d’accordo che dobbiamo fare un singolo assieme. Mi prendono per un rapinatore? Ma è perché ho la faccia nota. Un racconto di frontiera che sui social, beh, spacca. E piovono fama (sarà anche effimera, ma lasciamo stare Warhol....), i soldi ("quelli veri, bro") e, finalmente, il singolo da classifica. Tra barre e sbarre, si rischia grosso. Forse troppo.