
Il direttore del Giorno, Sandro Neri
Non rientra fra i grandi temi della politica, ma c’è comunque chi ha deciso di spingerla fuori dal binario morto in cui è finita. "La Lombardia è pronta", il nuovo grido di battaglia. Complice un incontro a Bergamo, organizzato a quattro anni esatti dal referendum del 22 ottobre 2017, si torna a parlare di autonomia differenziata. Oltre 3 milioni di lombardi, pronunciandosi per il "sì", hanno delegato il governo regionale a trattare con quello centrale per costruire maggiori margini di autonomia. Trattativa complessa, resa più difficile anche da posizione ideologiche, ma che sembra si possa riaprire. «Attendiamo la chiamata del ministro Gelmini», dice l’assessore regionale Stefano Bruno Galli.
L'obiettivo è recuperare due anni di ritardi. La partita ha avuto un andamento altalenante sin dall’inizio. Il governo Gentiloni aveva siglato una pre-intesa; poi il ministro Stefani aveva condotto la trattativa a un passo dal classico ultimo miglio per arrivare all’accordo. Ma l’ostruzionismo del premier Giuseppe Conte e dei ministri 5 Stelle avevano però imposto un freno. L’esplodere dell’emergenza Covid ha poi fatto il resto. Ora il tema è di nuovo d’attualità. Rilanciato dall’attivismo del ministro per gli Affari regionali Mariastella Gelmini e non solo. La Regione Lombardia ha riattivato il tavolo col Veneto. Obiettivo, definire una linea comune prima di tornare a sedersi al tavolo romano. I lavori procedono, al ritmo anche di due incontri a settimana. La questione è ritenuta prioritaria, anche alla luce di quanto avvenuto con la pandemia e, più recente, di proteste come quella di Trieste.
Episodi che, secondo i fautori dell’autonomia differenziata, riporterebbero in superficie gli atavici conflitti con la burocrazia e le lentezze del potere centrale. Resi ancor più pesanti a fronte di un rinnovato dinamismo delle Regioni, forti di una riorganizzazione dei servizi e del rilancio dell’economia territoriale. Il messaggio è chiaro. I margini di autonomia renderebbero ancora più elevato il rendimento istituzionale della Regione. Tradotto: significa maggiori economie di scala a beneficio di tutto il Paese, grazie al conseguente incremento del Pil regionale. Il Pnrr, che ha tra i suoi principi quello di ridurre il differenziale di sviluppo dei territori a livello europeo, è un’opportunità anche su questo fronte. Infatti risolve già, almeno in parte, il problema della frattura Nord-Sud. E rende obsoleta la minaccia di una possibile secessione delle regioni più ricche, da sempre adombrata dai detrattori dell’autonomia differenziata. Il dossier è pronto e aspetta solo di finire sul tavolo del ministro competente. Che immagina una legge quadro per regolamentare il percorso normativo. Un’insidiosa cruna dell’ago da cui passare. Il rischio è di fare tardi.