Editoriale

La scuola contro l’intelligenza artificiale

La mirabolante notizia del giorno è che gli studenti milanesi provano a fregare i professori. E lo fanno usando ChatGpt, il programma di intelligenza artificiale che usa tutta la conoscenza presente su internet per rispondere a qualsiasi domanda ed è in grado di scrivere un testo originale in pochi minuti (con vari gradi di imprecisione).

Tanto basta per udire le sirene d’allarme squillare in ogni scuola. Dappertutto schiere di docenti (non tutti, ben intenso) gridano allo scandalo e corrono alla ricerca di strumenti anti-ChatGpt, pur sapendo che ogni inganno crolla, da sempre, alla prima interrogazione orale.

Ma l’atto accusatorio, a ben vedere, è tanto vecchio quanto miope. Non solo perché gli studenti hanno sempre fregato i professori: usando bigliettini, suggerendosi a vicenda o facendosi scrivere il compito dal fratello maggiore. Ma perché sarebbe più utile indagare il motivo che spinge ragazze e ragazzi ad alleggerirsi di un carico scolastico che sentono insostenibile.

Volendo fare lo sforzo, si potrebbero notare i segni del malessere, della pressione, dello stress e dell’ansia causata dall’instabilità economica e sociale di un’epoca post-pandemica, bellica e sempre più complessa. Si potrebbero insomma notare i segni di crisi di quella salute mentale tanto rivendicata dai giovani e così poco compresa dai vecchi.

Si potrebbe anche considerare – ultima ma non ultima tra le ragioni – che innumerevoli mestieri e professioni hanno iniziato a usare, o saranno sempre più costrette a usare, l’intelligenza artificiale. Sarebbe quindi opportuno che i giovani imparassero a maneggiarla. Magari discutendo di Petrarca. Magari incoraggiati dai professori.